Sono nata nel luglio del 1982, pochi giorni dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali. E sono stata da subito, decisamente, immensamente, femmina.

Ero femmina in pancia quando dai primi mesi ho obbligato mia mamma a letto perchè, qui comando io!

Ero femmina perchè volevo vestirmi solo di rosa e si sa, il rosa è il colore delle femmine.

Ero femmina perchè volevo vestirmi solo con le gonne e si sa, le gonne sono l’abbigliamento delle femmine.

Ero femmina perchè volevo giocare solo con le Barbie, anzi avevo proprio la stanza delle Barbie e potevo contare su: casa di città, di campagna, mobilio completo color confetto (addirittura dal lavandino della cucina usciva l’acqua che faceva cambiar colore ai piatti, così da imparare subito a tenere una casa a modo), Ferrari, Vespa, cavallo, tenda da Safari. Il mio mondo delle Barbie era un duro e potente matriarcato, un solo Ken circondato da 15 donne che lo comandavano a bacchetta.

Poi sono cresciuta, a dispetto degli abitini rosa e delle gonne che portavo senza sosta (si racconta ancora di quella volta in cui, a circa due anni, pur di farmi metterre una gonna rosa anzichè dei banali pantaloni, mi sono seduta completamente vestita nel bidet pieno d’acqua), oggi vesto principalmente con i jeans, non so usare i tacchi e infatti mi sono sposata con le ballerine, ho due figli, un marito, un gatto, svariate piante che cerco di non far morire, cucino tantissimo e lavoro a maglia.

Sono indubbiamente femmina, o meglio donna, ma non so quanto femminile. Sempre che per femminile si intenda la passione per i rossetti rossi, per le unghie in pendant e la capacità di camminare su un tacco 12 senza sembrare ridicola, se il metro di giudizio è questo allora sì sono femmina, no non sono femminile.

Ho messo al mondo due bambini, una femmina e un maschio. La prima amante del rosa in tutte le sue sfumature, dei tacchi (passa la giornata a camminare sull’unico paio di scarpe alte che ci sono in casa nostra), degli unicorni, dei capelli lunghi e dei profumi dolciastri, con la stessa intensità odia qualsiasi tipo di bambola. Non le ama, non ci gioca, non le guarda. Meglio i Lego, i puzzle, i colori, la corda e l’hula hoop. Il secondo, maschio maschio, è innamorato delle draghe, dei cantieri, delle ruspe, delle macchine e sorpresa, delle bambole, che accudisce con amore, cambia, coccola, mette a nanna, porta in giro col passeggino e nutre amorevolmente.

Ieri ho sentito dire da Morelli, intervistato prima a RTL e poi su Radio Capital da Michela Murgia, che una donna deve “preoccuparsi se uscendo non attira su di se gli sguardi degli uomini”, ha poi detto che le bambine sono innatamente predisposte a giocare con le bambole per far uscire “il femminile” che alberga in loro. Non lo so, o io ho avuto un’infanzia, un’adolescenza e un’età adulta completamente fuori logica, generando anche due figli che non possono essere incasellati in questa semplice equazione (femmine = tacco e barbie, maschio = rutto libero e draga) o forse Morelli, psichiatra avvezzo ai salotti TV ha detto una stronzata galattica.

Ma sbagliare capita a tutti, ci mancherebbe.

Io però quando sbaglio, o dico una sciocchezza, non chiudo il discorso con “Stai zitta e ascolta“, stai zitta e ascolta non l’ho mai nemmeno detto a mia figlia nei momenti di lite più furibonda, al centesimo metti in ordine la stanza, lavati i denti, metti il pigiama. Un “Stai zitta e ascolta”, urlato così, a una donna, sembrava quasi un “Stai zitta e ascolta, FEMMINA”. E questo non va proprio per niente bene.

Che poi, una cosa credo di poter dire a nome di tutte, siamo stufe di uomini convinti di dirci cosa ci debba piacere, come ci dobbiamo vestire, cosa dobbiamo provare. Per quello ci sono le bambole gonfiabili, che stanno sempre zitte e ascoltano tutto quello che uno dice.

Ma proprio tutto eh, anche le cazzate.