Quei piccoli piaceri che i genitori conoscono

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piaceri

È stata concepita durante un allegro weekend a Montreal ed è nata alla velocità della luce in un giorno di sole di fine gennaio, così velocemente che quasi non riuscimmo ad arrivare all’ospedale.

All’età di un anno, invece di gattonare, si trascinava per casa con il sederino rincorrendo il fratello maggiore, come un porcellino d’india impazzito.

A tre anni piantava crisi isteriche incontrollabili solo perché i vestiti che aveva indosso le prudevano, o perché non le piaceva il cappotto. Si arrampicava sulla vasca da bagno, tutta intenta a vomitarmi addosso la rabbia e agitazione che aveva accumulato nel suo corpicino durante la giornata, urlandomi in slovacco: “Mamma, sei brutta e stupida, fai schifo!!”. Se provavo a gridarle contro, diventava ancora più nevrastenica. Se uscivo dal bagno, urlava ancora più forte implorandomi di restare.

Questi attacchi non erano in verità legati a eventi particolari, sono tuttora convinta fossero le manifestazioni genetiche di mia suocera, quella pazza che veniva da Bratislava.

Una volta ha addirittura usato la parola t***a in slovacco, arrivata dopo che aveva snocciolato una serie di insulti molto più lievi. Stavo aspettando il momento giusto, cioè che finisse, quando ho sentito la parola uscirle di bocca. E ho perso le staffe. Ho cominciato a ridere senza riuscire a controllarmi, perché era assurdo che la mia treenne dai capelli biondo-rossi mi chiamasse t***a.

Spesso mi chiedo perché nessuno, quando siamo incinta, ci dica che i figli saranno quelli a crearci problemi il 99% dei casi in più rispetto a tutte le persone che gravitano nella nostra vita. Oh sì, i figli capiscono perfettamente quando un genitore arriva al limite ed è allora che colpiscono.

Come quando c’è qualcuno al piano di sotto che va in iperventilazione e piagnucola, mentre l’acqua scorre dal rubinetto. Ti trascini fuori dal letto e vai in avanscoperta. Lo vedi. Un rivolo di sangue che parte dal lavandino e porta diretto a un taglio sul pollice di tuo figlio. Vai fuori di testa anche perché non hai un kit di pronto soccorso in casa -tu, madre snaturata!- Avvolgi un asciugamani intorno al pollice, gli dici di stringere forte mentre vai alla ricerca di un cerotto, della garza, o qualsiasi cosa che possa andar bene. Nulla. Allora gli dai un assorbente, mentre scendi al piano di sotto alla ricerca della borsa del ghiaccio per mantenere il dito al fresco in caso questo si sia staccato dalla mano. Non lo sai, ma sei troppo terrorizzata per guardare.

Nel freezer non trovi niente, eccetto una vaschetta per il ghiaccio naturalmente vuota e un pezzo di formaggio di capra in un sacchetto di plastica. Ovviamente, nessuna traccia della borsa per il ghiaccio. Allora cominci a mandarti le più svariate e creative maledizioni per non aver mai letto quei libri di auto aiuto dai titoli quali “Cosa aspettarti il primo anno” e prendi il pezzo di formaggio insieme a una busta di plastica. Avvolgi il suo pollice in una benda fatta di formaggio di capra congelato e assorbente, prendi la sorella treenne che ha ancora indosso la tuta da sci, e li carichi in auto. Nel pieno di una crisi isterica, ti fai la salita in direzione dell’ospedale a tutta velocità.

Al tuo arrivo, sopraggiunge l’infermiera in sala d’aspetto chiedendo:

“Cos’ha?”

“Si è tagliato il dito con una sega per la legna”, rispondo casualmente. Lei sbuffa e ci porta immediatamente dal medico. Raggiunta da un’altra infermiera, insieme cominciano a sfasciare la benda d’emergenza che avevo fatto prima a casa.

Una di loro rimuove la busta di plastica e scopre l’assorbente. “Un assorbente? Ehm, ok, va bene lo stesso.”

L’altra toglie il secondo strato e scopre che è fatto di formaggio: “cos’è questo, formaggio di capra?”, chiede senza cambiare espressione. Io continuo a ripetere sì a tutte le domande. “Beh, in fondo dicono di usare qualsiasi cosa si abbia”. Queste donne sono mostri di empatia e tolleranza. Sono sconvolta. Devono davvero aver visto tutto, nella loro carriera!

Gli puliscono il dito, che alla fine si scopre non essere né stato segato in due e né tagliato fino all’osso. Lo incerottano. Neanche un punto!

Nel corso degli anni ho imparato a mantenere un certo autocontrollo.

Ho imparato a mantenere lo stesso autocontrollo quando mia figlia, che ora ha 17 anni, ha crisi che sono passate da quelle in vasca da bagno a quelle in cui si guarda allo specchio e si dice che è grassa. È alta 175 cm, pesa poco più di 50 chili e assomiglia a Claudia Schiffer. Anche se queste crisi sono esagerate, mi rendo conto che reagire non porta a nulla di buono.

Non credo una persona riesca a diventare davvero un essere umano più saggio finché non ci si rende conto che non esiste un manuale per i figli. Sei tu, il tuo cervello e il tuo adolescente brufoloso, e uno di voi cambierà umore almeno sei volte nell’arco della giornata, mentre l’altro si chiederà se è già arrivata l’ora del cocktail.

 [:]

Janet Livingstone

Was born in Boston, Massachusetts and ventured to Czechoslovakia just after the 1989 Velvet Revolution. In total, she spent 18 years in Bratislava, Slovakia. In 2003, she began translating films and plays from Slovak to English and hasn’t looked back since. On occasion, she enjoys participating in public storytelling events and karaoke (although she’s not sure how much the audience enjoys the latter). Janet lives in Seattle with her two children and also speaks French, Italian, Russian, Spanish, elementary Japanese and sometimes English to anyone who will listen.

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