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Cumparsita: quel ballo che non dimenticherò mai

I miei genitori erano due ballerini.
Due etoiles della scala B.
Quelli della scala A, erano Toni ed Erminia, anche detti Ginger e Fred.
C’è poco da dire o immaginare.
Io, da bambina e pre-adolescente mi vergognavo troppo per questa cosa.
Passi per polke e mazurke varie, in fondo dei girogirotondi innocui.
La mia bestia nera era solo una, anzi uno, visto che trattavasi di un tango.
Anzi, del TANGO… la Cumparsita.
Quando mio padre, alle prime note della mia ossessione, faceva alzare mamma dalla sedia, la portava al centro della sala, e partiva di passo laterale destro, avrei dato nell’ordine 8 9 10 11 ecc. anni di vita,  per tornare sotto al cavolo primordiale.
Quelle note cadenzate, che vibravano in sala, e si posavano sui miei genitori, trasformandoli in due esseri carnali, erano la colonna sonora del mio tormento.
Cercavo ostinatamente di guardare altrove, di non considerare quegli svergognati che mi stavano escludendo da pensieri e orizzonte, attenti solo a sincronizzare passi e respiri.
Mio padre guidava mamma, pennellando il pavimento, con movimenti ambigui, che mi disorientavano e lei, che gli teneva testa in ogni situazione, gli cedeva e gli aderiva come la peggio schiava.
Ignoravo ancora che la passione può esprimersi anche così, cadenzando un tempo breve, per me infinito.
Il tutto poi finiva nell’apoteosi del mio sconcerto, quel casquè bastardo, che avrei proibito per legge.
Il mondo intero ignora che il Record del Mondo in Apnea fu il mio, durante quelle Cumparsite.
Poi…
Un Capodanno di parecchi anni fa, loro se n’erano andati già da un pezzo, in un locale di montagna, dopo trenini e cotillons, qualcuno chiese la Cumparsita.
Fu una scossa, un attimo, un arrivo al fotofinish… mi arrivò dritto al cuore quanta vita c’era in quel loro ballare, in quei passi simmetrici, in quella passione ta ta tara tarattattara…
E quanto me ne ritornava, ogni volta che la musica finiva.
Al primo che me lo chiese, concessi la mia verginità: ballai la Cumparsita.
Non fui neanche a meno della metà della loro altezza.
Ma il casquè lo dedicai a loro.
E fu spettacolare.

La Rouge

Quasi alta, quasi figa, quasi rossa. Capatosta ma con affetto, ipercritica ma autoironica, filosoficamente orientata al pessimismo scanzonato, scassacazzi quanto basta per essere minimamente considerata in questo mondo infame. In breve e per tutti La Rouge.

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La Rouge

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