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Libero: calano fatturato e PIL ma aumentano i gay

Non è Lercio e non è neanche L’Eco di Kabul (notoriamente schierato a favore della lapidazione dei gay nella zona della piazza centrale intitolata “Da parte del Mullah Omar”) ma il simpaticissimo titolo dell’ineffabile Feltri direttore di “Libero”.
Nel senso che può continuare liberamente a sparare stronzate a vagonate, tanto se lo filano solo quei 4 sfigati che continuano a leggerlo.

Quello che mi intriga, oltre ovviamente a cercar di capire perchè la famiglia del nostro esimio direttore non lo faccia interdire, è la fonte da cui vengono ricavati i dati ostentati.
Perchè se è vero che calano i fatturati (provateci voi ad adeguarvi alla nuova fatturazione elettronica senza lanciare dai piani alti fatture, modem, software compresi di programmatori) e PIL (che ha le ore contate visto che col reddito di cittadinanza diventeremo la locomotiva d’Europa e saluteremo col medio alzato Macron e la Merkel fermi sul binario morto), l’aumento dei gay da dove si desume ?
Da che si evince?
Come viene rilevato?
Insomma come cazzo si misura?

Dovendo solo immaginare i metodi di rilevazione messi in campo dalla redazione di “Libero”, qui di seguito ho provato ad elencarne i più probabili per situazioni e luoghi

– Dal barbiere di fiducia di Vittorio Feltri.
Dove hanno appena assunto un lavorante che ha buttato le riviste porno schifosamente usate e su cui anni di bava di morti di figa avevano lascito segni spiacevoli. E chi non si sega grugnendo sui paginoni centrali, altro non può essere che gay.

– Dai cartolai vicino alla sede di “Libero” a chiedere quanti bambini abbiano comprato confezioni di glitter pastello nelle feste appena trascorse.
Chi ama il glitter ha un futuro da wedding planner: più gay di così!

– Al botteghino delle multisale dove proiettano “Boemian Rapsody” a contare i maschi in entrata.
E non importa che si accompagnino a femmine: Freddy Mercury avvelena anche te e il gay che in te si annida.

– Nelle trattorie della bergamasca a vedere quanti uomini ordinino per dessert la Creme Bruleè, che si sa che i veri maschi a fine pasto solo grappa e rutto d’ordinanza.

– Fuori dai camerini degli outlet a carpire le reazioni dei mariti agli outfit delle mogli.
Il primo che dice “Il giallo ti abbatte” è uno stilista mancato. Livello gay altissimo.

– Al Gay Pride a contare, tipo Questura, i gay a metro quadro confrontandoli coi metri quadri degli anni passati.
Per poi accorgersi di muovere il culo al ritmo di “YMCA” e smettere subito di contare per paura del contagio (i Village People se li conosci li eviti).

– Ai veglioni di Capodanno a segnarsi gli organizzatori di trenini. Niente è più palesemente inconscio e allusivamente esplicito di un “AEIOU” Y finale che sta per categoria “gay party”.

Oppure più semplicemente sommando le proiezione di quelli che sono dati inconfutabili e sotto gli occhi di chi li vuole leggere:
i deliranti fantasmi della mente compromessa di un Direttore non più giornalista ma addetto alla conta delle stronzate.
Con cui i suoi lettori amano farsi inculare da anni.

La Rouge

Quasi alta, quasi figa, quasi rossa. Capatosta ma con affetto, ipercritica ma autoironica, filosoficamente orientata al pessimismo scanzonato, scassacazzi quanto basta per essere minimamente considerata in questo mondo infame. In breve e per tutti La Rouge.

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La Rouge

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