Da 912 lune, o 74 anni secondo il computo maschile, in Italia le donne votano.

Cosa, per gli studenti coi quali ogni giorno m’interfaccio, scontata come un kebab preso su Groupon.  Ok, state pensando che, per quel che c’è da votare oggi, ‘sto diritto di voto sia utile come un preservativo a una convention di lesbiche. Vi capisco.

Votare è come il fumo. Ogni volta che entro in cabina elettorale, bofonchio quello che davvero penso della politica italiana e sento un tonfo: è il mio angelo custode che è svenuto. E ogni volta giuro a me stessa che quella sarà l’ultima volta. Ma, la volta dopo, ci vado ancora perché è mio diritto, mio dovere e blablabla. Nel frattempo, spendo una cifra di Xanax. Per l’angelo custode.

Quindi, ok, vi capisco.

MA!

Pensate se le donne non potessero votare. Se fossimo costrette ad accettare quello che scelgono i maschi. Sarebbe come se, a una festa, il DJ mettesse la Macarena e tutte noi, come tante galline idiote, di colpo urlassimo ‘Ehhhhh!’ e ci mettessimo a sculettare e fare il tren…

Va bene, cambio esempio.

Da 74 anni, in Italia, le donne votano. Dal 1946, vige quello che in giuridichese si chiama “suffragio universale”. Che sa di pioggia, arche e colombe mezze morte ma è il principio in base al quale tutti i cittadini oltre una certa età possono votare. Tutti. Ricchi, poveri, belli, brutti, geni, ignoranti, simpatici, antipatici, persino quelli del Molise. Insomma, tutti i cittadini. Quindi, anche le donne!!!

E qui il mio embolo polemico già vorrebbe introdurre un excursus filosofico-politico intorno al concetto di cittadinanza e al valore che, in questi tempi di confini fluidi e migrazioni continue, si possa dare a questa parola. Ma (come dicono alcuni ragazzi di fronte a un video troppo banale persino per YouPorn) risparmiamoci il pippone e andiamo avanti.

Dicevamo 1946 e, per una volta, c’è chi è messo peggio di noi… la Svizzera, lì le donne hanno iniziato a votare tra il 1971 e il 1991.

Ciò che, però, è più interessante è “come” da noi si è arrivate al voto. La storia.

Tutto in Italia è iniziato da una tale Anna Maria Mozzoni, pioniera del femminismo italiano che, nonostante borghese e di bell’aspetto (in barba a chi dice che le fighe sono sceme), è stata una delle intellettuali che più ha riflettuto sulla condizione femminile del suo tempo e che, nel 1906, ha scritto insieme a Maria Montessori –quella del “metodo”- una petizione per consentire, appunto, il voto alle donne. Ok, le loro riunioni non saranno state esattamente un addio al nubilato a Ibiza, ma era un inizio.

In Europa e soprattutto in UK, già imperversava, il movimento delle suffragette.

In Italia, la tradizione del movimento femminile era meno incentrata sui diritti soggettivi, quanto piuttosto sulle grandi questioni sociali. Eravamo rimaste un po’ indietro, rispetto all’Europa, e da noi si discuteva ancora su alcune questioni tipo la caccia alle streghe, lo ius primae noctis, avere o no un cervello, essere vendute come spose-bambine. Successivamente, si passò a frivolezze come l’aborto, la parità di salario, l’istruzione, il diritto di famiglia, la violenza.

Pensate come erano all’avanguardia! Sono passati più di 100 anni e già combattevano per queste cose. Esattamente come continuiamo a fare noi.

Comunque, le donne volevano cambiare la propria vita. E il diritto di voto era uno degli aspetti di questo percorso rivoluzionario.

Anche la storia del voto femminile in Italia è caratterizzata dalla nostra famosa decisione e fermezza.

Suffragio universale? NO. Nì. Forse sì. Forse no. No! Anzi, Sì! No, assolutamente no! Sì ma certo che sì! Poi definitivamente No fino al Decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 31 gennaio 1945: tutte le donne finalmente possono votare.

Beh, non tutte.

Le prostitute, ad esempio, non possono. Ma, anche lì, pensate che progresso: una categoria che 70 anni fa non poteva votare e adesso ricopre ruoli importanti nella vita politica.

Comunque evviva! Le donne sono finalmente cittadine con pieni diritti.

Beh no, non proprio.

Possono eleggere ma non possono essere elette (per quello ci sono già gli uomini, non esageriamo con le concessioni eh!).

Vabbè ma evviva lo stesso! Basta discriminazioni.

Sì. Cioè… Purché non si avesse il rossetto. Il Corriere della Sera pubblicò un articolo: “Senza rossetto nella cabina elettorale” col quale, appunto, invitava le donne a presentarsi al seggio senza rossetto, per il rischio che, col rossetto appunto, si potessero lasciare tracce sulla scheda e quindi rendere nullo il voto. Questo dando per scontato che fossimo delle rincoglionite che scambiavano la cabina per un camerino, da affrescare con mascara e RossoGiungla.

Ma, dopo secoli di vessazioni, ‘ste cose ci toccavano poco (e comunque meno di quanto ci toccasse il Presidente di Seggio).

Ci vorrà un altro intero anno e un poco di più per iniziare davvero un percorso di piena cittadinanza anche per le donne: decreto n. 74 del 10 marzo 1946.

E così, prima con le amministrative di marzo e poi, il 2 giugno, per il famoso Referendum Monarchia-Repubblica, inizia questa nuova fase della storia delle donne italiane.

E, grazie al cielo, anche noi possiamo andare in una cabina elettorale, dare il nostro contributo alla vita politica e ammirare i vari Governi fregarsene altamente della nostra volontà e fare assolutamente ciò che a loro pare e piace.

E ne siamo felici.

Perché, almeno in questo, siamo uguali agli uomini.