Capita spesso, quando si parla di bullismo, di sentire o leggere commenti di questo tipo:

“ i ragazzi di oggi sono più fragili”,

“anche ai miei tempi c’erano i bulli, ci sapevamo difendere, però”.

Ma davvero abbiamo partorito dei teneri fanciulli indifesi e fragili? O forse, rispetto a una volta, é cambiato il modo di fare bullismo?

Spiega bene la differenza lo psicoterapeuta Michele Ferraud durante la conferenza sulla violenza di genere, promossa dal progetto Rosso Indelebile. Nel cyberbullismo, il bullismo esercitato con mezzi elettronici, cambiano diversi aspetti, per primi i tempi e gli spazi.

Il nostro ragazzetto bullo lo ricordiamo soprattutto a scuola, cattivo e violento. Ci avevamo a che fare solitamente negli intervalli e se ci andava bene ci rubava snack al glutammato di sodio. Era riconoscibile e la sua presenza era limitata nel tempo e nello spazio. Un Nelson Muntz, forse solo un po’ meno giallo.

Il cyber-bullo 3.0 invece ha un raggio d’azione ben più ampio: il mondo intero. Con pochi click può bullizzare non solo nel cortile delle scuole.

Ma in tutto il mondo.

E per tutto il giorno.

Tutti i giorni.

Solo a dirlo manca l’aria.

Un’altra differenza è che bullo old-style é mediamente grosso. Se sei minuto, bassino e con le lettiggini difficilmente intraprenderai questa “carriera”. Il cyber-bullo invece non si vede. Può essere di qualsiasi dimensione, colore di capelli, tono di voce, capacità visiva. Spesso i cyberbulli sono il ragazzino o la ragazzina bullizzati nella vita “reale”, che decidono di sfogarsi dove non li può veder. Talvolta non sono neanche più tanto ragazzini. Anzi, spesso sono più in età pensionabile che non da diploma.

Godendo del potere dell’invisibilità credono di non poter essere rintracciati e di conseguenza incolpati. E quindi, credendosi così intoccabili e irrintracciabili, danno il meglio di sè.

Ma torniamo alla merendina al glutammato. Una volta rubata e mangiata…pufff, sparisce nella pancia del bullo. Un file, invece, anche se cancellato può essere visto da altre persone e ancor peggio ricondiviso. Salvato su chat, account email, siti, cloud. Ha una vita pressochè eterna. Niente Puffff, anzi.

Ricapitoliamo quindi i due identikit. Bullo anni ‘90: grosso, cattivo, un po’ ignorantello, ruba oggetti e usa violenza soprattutto a scuola negli intervalli. Cyber-bullo 3.0: di qualsiasi dimensione, crede di essere invisibile e pubblica materiale più che visibile in tutto il mondo e a qualsiasi ora, usa una violenza che non lascia lividi ma che può arrivare ad uccidere la vittima.

Il 63% dei bullizzati ovviamente siamo noi donne.

Quindi signore, signori, tutti.

Fermiamoci e pensiamo. Sono davvero i nostri ragazzi ad essere così fragili o il modo di fare violenza che è diventato ancora più disumano?