Ore 20,50 di un normale martedì sera (ieri).

Normale… beh, normale più o meno. Ieri sera c’era la Champions League: Juve-Barça. Big Match (mi dicono). Marito juventino allo stadio. Figlio quattrenne in ansia totale sul divano. Mamma (cioè io) nel panico perché non trovo il diavolo di canale tv su cui trasmettono la partita. Che, sia chiaro, a me della partita fregava meno di zero. Ma il quattrenne…

Telefonata 1 al marito di cui sopra. 8 squilli. Segreteria.

Telefonata 2. 8 squilli. Segreteria.

Telefonata 3. Ma porca zozza.

Chiamo l’amico: “Mi passi mio marito per favoreeeeeeeeeeeeeee?”

Marito: “Ciao dimmi”. Io: “Su che diavolo di canale devo mettere?”. Marito: “Canale cinqueeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee” Tu tu tu tu tu tu tu.

Timpano traforato (il mio). Telefono buttato per aria (immagino). Goal della Juve (deduco).

Ecco, avere un marito juventino, di questi tempi, vuol dire questo.

È che un marito tifoso di calcio trasforma la tua vita sociale, che a te piaccia o no. Per anni, ogni santo sabato sera di “anticipo di campionato” o domenica sera di “posticipo di campionato” ho avuto la casa inondata di juventini urlanti che si chiudevano in salotto (col beneplacito di Sky), mentre io e le mie amiche (fidanzate, mogli, compagne dei suddetti) ci scolavamo 12 spritz in cucina. Stavo quasi per fare l’abbonamento agli alcolisti anonimi, quando…

Il primo segnale di tragica deriva dovevo coglierlo quattro anni fa: incinta, i 12 spritz non potevo berli più ma la casa inondata di tifosi ce l’avevo lo stesso. Solo che da sobria i sensi non sono offuscati e i tifosi urlanti li vedi e li senti davvero in casa tua; per ore, infinite, sul divano nuovo, che hanno sporcato, anche il cane è perplesso…

Dagli 0 ai 2 anni e mezzo il figlio si ribella al calcio. Durante le partite, piange. Gli amici più o meno si dileguano (chi fa figli, chi vuole ancora vedere la partita in silenzio religioso) e io cristono. Eh sì, perché i 90 minuti di pianto me li spupazzo in totale autonomia (vuoi mica chiedere allo juventino di cui sopra di non guardare la partita?) e però, nel mio totale e indefesso ottimismo, vado pensando che questo è un buon segno, che magari ora piange, ma che in fondo in fondo vuol dire che a lui del calcio non frega una mazza, che magari nemmeno vorrà mai toccare un pallone… e vuoi mettere che comodità? Niente domeniche pomeriggio al campetto del paese, niente scarpe e vestiti infangati dopo l’allenamento, niente chat delle mamme del calcio…

L’anno scorso il figlio treenne ha iniziato ad interessarsi alle partite di calcio e io ho pensato che fosse un dono del cielo (lo so, sono volubile, ma da qualche parte bisogna pur trovarlo ‘sto bicchiere mezzo pieno): padre e figlio sul divano in salotto, amici tutti fuori (ce l’avete una casa, no?) e io? Serata manicure, pedicure, maschera all’argilla, scrub, bagno profumato, prosecchino. Ah le gioie della vita!

Ma dovevo capirlo, porca zozza, che quello non era che l’ultimo spasmo di vita prima del tracollo: quest’anno il maritino ha fatto l’abbonamento allo stadio e sul divano del salotto chi ci sta a far compagnia al figlio quattrenne, che ora ha anche imparato a urlare “è fallooooooooooooo! arbitro, è falloooooooooooooooo!”?

“Mamma, mi fai compagnia a vedere la partita, sennò resto solo?”… e lo stato delle mie unghie è definitivamente compromesso.

Ieri sera c’era il Big Match. Così mi hanno detto. E io che ho fatto? Ho guardato la partita. Dall’ottavo minuto. Dopo il goal di Dybala, che il primo l’ho vissuto solo al telefono. Ma tu vuoi mettere il piacere di fare una cosa solo tu e tuo figlio? Una cosa vostra, una cosa che poi quando sarà grande…

Andrà allo stadio e dovrai farti gli spritz con la nuora.