Vivo nei paraggi di un oratorio; adiacente c’è un campo da calcio.

La domenica mattina, unico giorno in cui una persona mediamente normale può dormire un po’ di più, vengo puntualmente svegliata.

Prima, dalle campane che incitano la gente ad andare alla messa e poi, forse ancora peggio, dagli urli e dagli strepiti di chi assiste alla partita di calcio.

Ora, fosse la serie A, al limite la serie B, potrei anche capire. Al limite.

Ma essendo partitelle del cazzo, sì, agonistiche, ma di ragazzini che vanno dagli 11 ai 13 anni, anche no.

Fra i molti, gli urlatori più esecrabili sono i genitori frustrati.

Il genitore frustrato, con figli sicuramente problematici, lo riconosci dall’eleganza dell’eloquio e dei gesti.

Il suo non è un normale tifo, un comune incitamento al figlio calciatorino in erba. No. Il suo è l’urlo di un matto, il ruggito di un mentecatto, lo sbraitare di un fuori di testa, non commisurato all’evento in atto.

Dispensa consigli tecnici a raffica, dei veri e propri dictat e magari è solo un impiegato di banca. Se la prende con il figlio stesso, con i compagni di squadra, offendendoli e minacciandoli pesantemente, con gli altri genitori spesso sfiorando la rissa e, soprattutto con l’arbitro.

Non ho il piacere di conoscere l’arbitro in questione, ma nell’ordine si è beccato un (cito fedelmente):

“maledetto finocchio, fallito, mongoloide, sordo, cieco, testa di cazzo, figlio di puttana”.

Ed è solo una partita di ragazzini. In un campetto attaccato a una chiesa.

Menomale che una partita dura solo 90 minuti, altrimenti il genitore frustrato avrebbe sganciato un’atomica che, al confronto, Kim&Donald sparirebbero per la vergogna della loro pivellaggine.

Insomma, dicono che lo sport fa bene, è sano, ti aiuta a crescere e maturare, ti insegna la pazienza, la correttezza e la tolleranza. Ma se è così, meglio che i figli stiano ben bene col culo sul divano!