Sembra il titolo di un film horror e probabilmente ispirerà qualche astuto regista che trarrá ispirazione da questa macabra vicenda, degna di un romanzo di Edgar Allan Poe o di Carolina Invernizio: Il cimitero dei feti abortiti.

In realtà è tutto vero.

Succede in un piccolo paese di 2.833.655 abitanti – lo scrivo in modalità assegno bancario che rende meglio l’idea: duemilioniottocentotrentatrémilaseicentocinquantacinque/00 – ROMA.

Si è scoperto infatti, per caso o per beneficienza (come indicato da un operatore della clinica dove una donna decise di abortire sette mesi fa) che i feti, anche se si è detto no alle esequie e alla sepoltura del feto stesso vengono comunque sepolti – si sa mai che uno ci ripensa.

Certo, anche a me capita, ammetto. Ordino un calice di Barbera e poi mi viene in mente che con la degustazione di formaggi ci starebbe meglio un Ruché e ci ripenso.

Ma per un feto abortito, in base alla legge che ce lo consente ( per ora eh, vedi Pillon e compagnia bella), non cambio idea se prima non lo volevo vedere in un cimitero e dopo si, e anche cambiassi idea la mia libertà e la mia privacy devono essere garantite.

Invece no.

Al cimitero del Flaminio di Roma ci sono 300 croci, fissate in terra, su ogni feto. Ma tranquille, sono anonime.

Riportano solo la data dell’intervento, un codice di catalogazione e… in tutto anonimato il cognome della madre.

Che tra l’alto è l’unico caso ad oggi in cui solo la madre può decidere di attribuire il cognome al figlio.

La colpa di chi è?

  • “Delle cliniche!” – dicono le Asl
  • “Delle Asl!” – controbattono le cliniche
  • “Dell’Ama!” – si difendono le Asl

Insomma, la colpa di chi sia poco importa!  Tutta questa faccenda suona di più come una pubblica gogna!

Finiamola con la caccia alle streghe che l’era di Salem è finita da un pezzo, vedere i propri diritti garantiti dovrebbe invece tornare di moda.