Sarà una questione di statistica, di calcolo delle probabilità, o semplicemente di destino, per chi crede nella fatalità. Forse devo aver fatto qualcosa di così orribile nelle mie vite precedenti che il mio karma negativo mi indica con una freccina.

Insomma, sono abbastanza sicura di averne incontrate un sacco sul mio cammino.

Parlo delle mamme perfette, di quelle che non sbagliano una virgola, che hanno figli intelligenti, studiosi, talentuosi, speciali di cui non fanno altro che tessere le lodi. Se Hitler si fosse reincarnato in una mamma moderna, conversare con uno di questi esemplari di mammanazi sarebbe una tortura peggiore di quella della goccina cinese, credetemi.

E non solo: hanno sempre tanto tempo per informarsi (perché l’“informazione” è un dovere genitoriale da assolvere con meticolosità e passione).

Che poi questi sono gli elementi che cadono rovinosamente in fenomeni quali le “mamme informate” antivax, questo è un altro paio di maniche.

Sono quelle che se i pargoli vanno bene a scuola è tutto merito loro ma, se per una grave ipotesi di congiunzione astrale sfavorevole, o il palesarsi di una inspiegabile situazione di equivoca natura, non vanno bene a scuola, è senz’altro per colpa di qualche professore.

Che poi la cronaca nera ci insegna che sono proprio i loro figli a diventare i serial killer più meticolosi stile “massacro del Circeo”.

Le riconoscerei a naso, e non per mia capacità, ma soltanto per esserne oramai avvezza dopo aver a lungo goduto di tanta fortuna a respirarne la stessa aria (durante le ore interminabili di attesa nelle riunioni dei prof); le distinguerei tra un milione: per lo sguardo fiero (e mai sottomesso dalle inevitabili e banali prove della vita, come il mio).

L’esemplare di mammanazi si trattiene nel cortile della scuola oltre gli orari di entrata e nello stesso modo, arriva in largo anticipo prima dell’orario di uscita. E attende paziente la giusta preda da fare fuori in nome del suo ego.

Proprio qualche sera fa sono stata attaccata al grido di “Oh ciao, carisssima” (pronunciato proprio così, con tre “s” a mo di Mamba Nero).

Mi ha chiesto di mio figlio che andava a scuola con il suo.

Ho semplicemente risposto, serenamente, anche se in passato lei non fu gentile in un particolare episodio che coinvolse i nostri ragazzi. 

Me lo ricordo lo squillo del telefono prima che riuscissi ad assaggiare un solo boccone dei miei fusilli alle melanzane. L’interminabile telefonata in cui cercavo di ribadire quanto non fossi fiera di quel litigio tra i nostri ragazzi. L’energia che raccolsi (malgrado il calo di zuccheri dato dalla fame) per ricordarle che ero la stessa che conosceva da vent’anni (e per non mandarla a quel paese).

Ma non mi rendevo conto che la condizione di mamma perfetta l’aveva resa così spietata al punto da non lasciarmi godere nemmeno di quel meritato piatto che, delusa, dovetti mangiare freddo.

Mi ha detto: «Sai, anche il mio poi ha attraversato la stessa fase e ha perso un anno».

E con un dito indicava il cielo.

Ecco, mai giudicare. E come si dice in dialetto fondano: “N’ scputà n’cel ca n’facc’ t’ vè!”, (non sputare in cielo che ti viene in faccia).

Benvenuta, nel mondo delle mamme imperfette, bitch!