Natale, famiglia, pranzo

Natale, famiglia, pranzo

Addobbi appesi, servizio buono in tavola, sedie arraffate in giro per la casa e prese in prestito dai vicini, albero di Natale pronto (con le palle girate, perché avrebbe preferito rimanere nel bosco), campanellini ovunque, persino al collo dei gatti.
Dlin dlon dlin dlonnnn “Zia Matildeeee, entra, sei la priMA NON DOVEVIII, grazie, mi serviva proprio questo bbbel cactus di plastica alto due metri, lascialo pure fuori dalla porta, che domani lo buttEHM, gli trovo una sistemazione. Il cappotto puoi riporlo in camera degli ospiti, sul letto”.

Dlin dlon dlin dlonnn “Oreste, fratelloneee! Sei solo? Finalmente ti sei lasciato da quella gran troIOLANDAAA! Non ti avevo vista cara, entra!” Momento di panico, rotto da Oreste: “Sì, siamo tornati insieme, Iolanda è incinta, volevamo annunciarvelo oggi”. “Prego entrat… Ma non dovevate regalarmi questo utilissimo servizio da sommelier, uuuh, c’è pure il termometrooo” (sai dove te lo ficcherei, cara cognatina?).

Dlin dlon dlin dlonnn “Zio Arturoooo! Entra zietTOH, ma chebbellabottiglia di digestivo alla genziana, non dovevi disturbarti! (Bleah, il solito tirchio). Urca, ma hai cambiato tintura per i capelli, bellissimo questo color albicocca secca! Prego, metti pure il cappotto e il parrucchin… ehm, volevo dire: metti pure il cappotto ed il cappello nella camera degli ospiti, sul letto”.

Dopo un rapido susseguirsi di ‘dlindlon’ e regali improbabili, abbiamo: 16 persone sedute al desco, 3 bambini sotto la tavola, 2 in cucina a leccare le pentole, uno sul lampadario, 6 gatti coi campanellini al collo e Fuffy, un cagnolino meticcio disperato, che guarda tutti come se fosse nel girone infernale dei golosi urlatori.

Silenzio.

In mezzo alla tavola, i tortellini occhieggiano dal brodo buono, nella zuppiera rossa. 3, 2, 1… All’unisono esplode il tintinnìo dei cucchiai, accompagnato dal rumore tipico del consommé sorbito attraverso la dentiera; sorso dopo sorso gli animi si scaldano, i coglioni di qualcuno pure (il vino si sa, fa brutti scherzi).
A ruota seguono gli arrosti, i contorni, il bollito con le salse, tortini caldi, freddi, crostini, insomma, il classico pranzo natalizio della vergogna, alla faccia della FAO (ma dal 7 gennaio tutti a dieta eeeh?).

Arrivati i desserts, lo spirito natalizio prende fuoco (tradotto: il vino dà alla testa) ed iniziano ad affiorare gli screzi, il brodo ha riportato a galla antichi dissapori, rovesciati a turno in faccia ai conviviali senza filtri di sorta. “Caro, dì a tuo figlio che non mangi le noci, che poi dobbiamo portarlo dal dentista”. “Lo dici proprio tu, che di parrucchiere mi porti via mezzo stipendio al mese?”. “Lascia stare, che quando ci siamo portati tua madre in vacanza ci è costata più che aver navigato sul panfilo di Ranieri di Monaco. Chiarooo?”
Per stemperare gli animi la padrona di casa se ne esce con un: “Ehm, CAFFETTINOOOOOO? Chi lo vuole alzi la mano, su!”
Il liquido nero bollente non sortisce l’effetto desiderato, anzi, segna la linea di demarcazione fra il pranzo ed il letargo. I più audaci si spingono fuori a fare ‘quattro passi’, qualcuno si sdraia in camera degli ospiti schiacciando con noncuranza i cappotti buoni della domenica, altri si abbioccano sul divano con i fagioli della tombola in mano, le gote paonazze e il rivolino di bava che rotola indisturbato giù dall’angolo della bocca, fra rantoli e apnee da abbuffata.

Il momento più triste è quello in cui i parenti se ne vanno a casa, imbambolati dal cibo e dal trambusto della giornata. Precisiamo: il momento più triste per chi va, ma il più felice per chi resta e può mettersi finalmente in pantofole, cominciando a pensare indisturbato ai progetti del Capodanno.