[:en]Ho sempre desiderato essere allergica al polline. Volete mettere? Così fine, così trendy, così à la page.

“Scusi, queste lacrime?”

“Purtroppo, graminacee e parietaria…”.

“Complimenti, gran bell’allergia… sa, anch’io…”.

“Ah, davvero?”

“Beh, modestamente. Ma la prego, starnutiamo all together…”.

Invece il fato mi è stato avverso.
Allergica sì, ma al salame.
Roba da rabbrividire al solo pensiero.
Per non parlare poi dell’espressione dei maschi quando rivelo l’imbarazzante segreto. Strizzatine d’occhio, gomitate, battute tipo:
“Qualche problema anche con il capitone?”.

Sì, perché il salame solo alle origini è stato un insaccato; poi, nell’immaginario collettivo, è diventato subito altro. Sempre porco, comunque.

Al supermercato evito con cura il reparto salumeria, mi sento sicura solo fra assorbenti e detersivi.
Un giorno, un inconsapevole vecchietto mi ha infilato inavvertitamente un cacciatorino nel carrello. “Tolga subito quel suo affare da qui dentro!”, ho urlato con quanto fiato avevo in gola.
Nel negozio è calato il gelo. Il nonnino mi ha guardato riconoscente e riprendendo l’insaccato mi ha sussurrato:
“Grazie, erano anni che nessuna me lo diceva più!”.

Se esistesse un vaccino, non esiterei a provarlo. Iniezioni di salame sottocute. Fa tanto macellaio sado-maso ma se funzionasse, perché no?

Ho provato anche con lo psicanalista. Mi ha detto che l’ipotesi del salame come simbolo fallico a cui mi ribello riempiendomi di pomfi è poco probabile. Secondo lui, il problema sta nei tondini di grasso, che rappresenterebbero i vuoti affettivi che io cerco inutilmente di colmare. Con il colesterolo, pare.

“Si arrenda – mi ha detto – lasci che l’energia penetri ovunque nel suo corpo… non riempia più nulla, non chiuda più nulla…”.

Ho cominciato subito. Sono uscita e non ho chiuso la porta per paura che si accorgesse che me n’ero andata.
L’ho lasciato lì, come un salame.
E per la prima volta nella vita non ho nemmeno starnutito.[:it]salame al banchetto del mercato

 

 

 

 

Ho sempre desiderato essere allergica al polline. Volete mettere? Così fine, così trendy, così à la page.

“Scusi, queste lacrime?”

“Purtroppo, graminacee e parietaria…”.

“Complimenti, gran bell’allergia… sa, anch’io…”.

“Ah, davvero?”

“Beh, modestamente. Ma la prego, starnutiamo all together…”.

Invece il fato mi è stato avverso.
Allergica sì, ma al salame.
Roba da rabbrividire al solo pensiero.
Per non parlare poi dell’espressione dei maschi quando rivelo l’imbarazzante segreto. Strizzatine d’occhio, gomitate, battute tipo:

“Qualche problema anche con il capitone?”.

Sì, perché il salame solo alle origini è stato un insaccato; poi, nell’immaginario collettivo, è diventato subito altro. Sempre porco, comunque.

Al supermercato evito con cura il reparto salumeria, mi sento sicura solo fra assorbenti e detersivi.
Un giorno, un inconsapevole vecchietto mi ha infilato inavvertitamente un cacciatorino nel carrello. “Tolga subito quel suo affare da qui dentro!”, ho urlato con quanto fiato avevo in gola.
Nel negozio è calato il gelo. Il nonnino mi ha guardato riconoscente e, riprendendo l’insaccato, mi ha sussurrato:

“Grazie, erano anni che nessuna donna me lo diceva più!”.

Se esistesse un vaccino, non esiterei a provarlo. Iniezioni di salame sottocute. Fa tanto macellaio sadomaso ma se funzionasse, perché no?

Ho provato anche con lo psicanalista. Mi ha detto che l’ipotesi del salame come simbolo fallico a cui mi ribello riempiendomi di pomfi è poco probabile. Secondo lui, il problema sta nei tondini di grasso, che rappresenterebbero i vuoti affettivi che io cerco inutilmente di colmare. Con il colesterolo, pare.

“Si arrenda – mi ha detto – lasci che l’energia penetri ovunque nel suo corpo… non riempia più nulla, non chiuda più nulla…”.

Ho cominciato subito. Sono uscita e non ho chiuso la porta per paura che si accorgesse che me n’ero andata.
L’ho lasciato lì, come un salame.
E per la prima volta nella vita non ho nemmeno starnutito.

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