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MERIDA (Mexico) 12 agosto 1999

Mamma che caldo.
Il Messico ad agosto è una punizione divina per il vero “Turista fai da te? NO Alpitour? Ahiahiahaihai”

Non fa caldo, no. Si vive costantemente dentro il barbeque di un ciccione americano che griglia hamburger dal mattino alla sera. Solo che non hai la birra in mano. E in più c’è qualcuno che crea umidità a manetta.
Come si crea l’umidità? E che ne so, io.
Ma so che se percorri una strada sotto il sole messicano, alle 2 del pomeriggio, con 48 gradi e il 999 percento di umidità, poi non è che la tua capacità di discernimento tra il bene e il male sia affidabile.
Se a tutto ciò aggiungi che, dalle 17 in poi, scatta l’happy hour in tutto il Paese, le possibilità di dire cose sensate per il resto della vacanza scendono parecchio al di sotto della soglia minima accettabile.

Quindi sì, fa un caldo boia.

Ma noi oggi si va a comprare le amache!

C’è un paesino, vicino Merida, dove da sempre fanno solo amache, le fanno a mano e non ci sono negozi, devi arrivare nel paesino e aspettare che qualcuno ti chieda cosa vuoi, a quel punto devi sorridere e iniziare a spiegare che cerchi un’amaca.

Anche se lo fai malissimo, col tuo spagnolo da Mundialito ‘82, il tuo interlocutore capirà subito e, sorridendo, ti accompagnerà al cancelletto di una casetta dove ti aprirà un signore bellissimo che ti farà vedere, sempre sorridendo, un sacco di amache bellissime e ti spiegherà come proteggerle dalla “cucaracha” che adora l’agave, quindi se non ci metti “el toxico” non ne rimarrà nemmeno un filo, della tua bellissima amaca.

Ma prima.

Prima di arrivare a Tixcobob, hai una strada da percorrere.
(Che metafora strepitosa)
La strada da Merida a Tixcobob è piccolina, non asfaltata, assolata, coloratissima (come tutto il Messico).
Quindi, noleggiamo un’auto e partiamo con la cartina in mano.
Direzione: Tixcobob.

Lungo la strada incontriamo una chiesetta gialla. Mamma che beeellaaaaaa! Fermiamoci!!!
Il mio moroso: “Ma non è che possiamo fermarci a tutto, siamo in ritardo di almeno 8 giorni sul programma!”

Sì, ha ragione. Il nostro viaggio in Messico aveva un obiettivo: 1 mese di tempo per andare da Cancun a Puerto Escondido (per via del film di Salvatores). Con tappe più o meno programmate. Solo che la prima settimana ci siamo persi in un villaggio di Plaja del Carmen (e che cazzo, si chiamava Riu Tequila, e c’era l’open bar h24, come facevamo ad andarcene?) e la seconda ci siamo fermati a Merida perché era tanto carina… si mangiava con 4 dollari in un negozio di poster, con cucina sul retro, si dormiva al Grand Hotel con 20 dollari al giorno e ci sentivamo tanto Ernest Hemingway.

Visto che ha così tanta ragione, ci fermiamo alla chiesetta gialla.

E dietro la chiesetta… UN CIMITERO. Sì. Un cimitero. Ma bello, tanto tanto bello.
Nulla di paragonabile ai tristi e solenni cimiteri italiani, freddi e pieni di marmo (freddi perché io ci andavo sempre il 2 novembre con il cappottino nuovo che non teneva mica caldo).
No, questo cimitero era coloratissimo, caldo e con le tombe tutte diverse. Allegro. Ecco, era un cimitero allegro.

Mentre ci avviamo al cimitero allegro, vediamo un signore precipitarsi verso di noi su una bici sgangherata, pedalando come un pazzo:
“Ustedes son parientes de Mr. Williams?”

ECCO LA SVOLTA. Quello che trasforma un viaggio in un’avventura. Quello che ti dà la certezza che viaggiare da “turistafaidate ahihaiahaiahiai”  sia la cosa più bella del mondo.

Noi, guardandoci straniti: “Chi es Mr. Williams?”
(perché, si sa, per parlare spagnolo basta aggiungere una “s” alla fine delle parole)

E ci racconta che negli anni ’70, un americano era arrivato nel paesino accanto alla chiesetta gialla, ci si era fermato, ci aveva vissuto per un po’ con gli altri 35 abitanti e poi ci era morto.
Gli abitanti del paesino vicino alla chiesetta gialla che potevano fare?
Ovvio, seppellirlo.
Perché i messicani sono così.
Quindi, lo hanno sepolto nel cimitero del paesino, gli hanno messo una croce di legno, e gli hanno inciso sopra “Mr. Williams”.

Forse non si chiamava nemmeno Williams, ma a loro era sembrato un nome molto americano, e qualcosa dovevano pure scriverci su ‘sta tomba.
Solo che erano passati tanti anni e nessuno era mai venuto a trovarlo, quindi, essendo noi i primi gringos arrivati al cimitero, era evidente che fossimo qui per lui.

“Certo!” abbiamo esclamato tutti in coro. “Portaci alla tomba del caro vecchio Williams”.
Abbiamo pregato, messo un fiore, gli abbiamo raccontato gli sviluppi internazionali degli ultimi 20/30 anni e siamo diventati la sua famiglia.

Di una cosa eravamo tutti sicuri: il povero gringo non sarebbe stato mai più solo: ad ogni amico che sarebbe andato in Messico, avremmo disegnato la piantina e gli avremmo chiesto di andare a mettere un fiore sulla tomba di Mr. Williams.
E di raccontargli i nuovi sviluppi internazionali.

E così è stato, per tanti, tanti anni.

Poi si cresce, si mette su famiglia e di amici che vanno in Messico, alla ventura, non ne hai più così tanti.
Fino a quel giorno di luglio, 20 anni dopo, in cui Chantal mi dice: parto per il Messico.
E via con la piantina, le indicazioni, il racconto di un’estate del ’99 e di un vecchio amico che nessuno è più andato a trovare.
E la certezza che continuerai a mantenere la promessa. Che ci manderai anche i nipoti tra qualche anno, quando saranno grandi e partiranno con lo zaino all’avventura.

Grande amico Mr. Williams, continua a contarci, siamo noi la tua famiglia.