Degli americani, quando vivevo a Philadelphia, ho sempre apprezzato quel senso di appartenenza alla propria identità.
La bandiera, per esempio. L’inno nazionale, che si canta con la mano destra sul cuore, occhi rivolti verso la bandiera.
È così che nascono le proteste. Da un gesto semplice, come rifiutarsi di alzarsi e, addirittura, inginocchiarsi davanti a questo simbolo di grandezza.
Come il pugno alzato sul podio delle Olimpiadi del ’68 di Smith e Carlos. Silenzioso. Pacifico. Occhi bassi.
Come il gesto inconsapevole di Rosa Parks, che non sapeva che in quel momento stava scrivendo un pezzo di storia statunitense.
Gesti che hanno tutti un’unica matrice: la protesta contro qualsiasi forma di oppressione.
Protesta silenziosa e pacifica. Perché a gridare e a fomentare l’odio e la violenza ci sta pensando il presidente.
Ecco, io sono democratica, ho votato per Obama, alle mie prime elezioni da “naturalizzata”.
Non ho votato per Trump.
Ma Trump ha vinto e, per almeno quattro anni dobbiamo tenercelo.
Trump sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale e non è una buona cosa. In un Paese dove il concetto di accoglienza, con il cosiddetto meltin’ pot, che se si guarda in profondità, non è che sia mai esistito, gli animi anti-qualsiasi forma di minoranza stanno uscendo sempre più allo scoperto. Allora si può pure chiamare i neri “African-Americans”, utilizzando quel politically correct che piace tanto, ma neri restano. Così come i messicani, che se non ci fossero loro a fare i lavori più umili, nessuno si abbasserebbe a farli.
Il gesto dell’inginocchiarsi io lo colloco tra quelle proteste silenziose, tanto più se chi si inginocchia sono personaggi famosi e influenti nello spettacolo e nello sport.
Trump ha detto che bisognerebbe boicottare il football americano. Già. Se non si riescono a togliere le armi agli americani, figuriamoci se possiamo toccare il football americano con il Super Bowl che ogni anno è guardato da tutti. Proprio tutti gli americani. Anche da chi, come me, non ne capisce niente. Non si può togliere lo spettacolo a un americano.
E allora ci si inginocchia. Come a pregare che questi quattro anni passino presto.
Come a sperare che finalmente le minoranze non debbano essere le prime a pagare lo scotto di questa politica sconsiderata e ignorante che Trump sta proponendo.
Ma ci si inginocchia anche di fronte alla sconfitta. E questo è ciò che mi spaventa di più. Più di un uragano, la sconfitta di un popolo che non riesce ancora ad amalgamarsi completamente.
Allora non avrebbe senso onorare una bandiera e un inno nazionale. E ci si inginocchia, chiedendosi dove si è sbagliato. Ma, soprattutto, chi ha sbagliato. Ci si inginocchia chiedendo un poco di respiro, per non finire soffocati dall’ego di chi non ha il minimo rispetto per ciò che è stato e che punta il dito alla pancia di quegli americani arrabbiati e delusi e, per far loro credere di essere grandi, sminuisce chi, a rendere questo mondo un posto vivibile ci prova sul serio.[:it]

Nuova Protesta Americana, Trump, in ginocchio, take a knee

I can't marry you all

Degli americani, quando vivevo a Philadelphia, ho sempre apprezzato quel senso di appartenenza alla propria identità.
La bandiera, per esempio. L’inno nazionale, che si canta con la mano destra sul cuore, occhi rivolti verso la bandiera.
È così che nascono le proteste. Da un gesto semplice, come rifiutarsi di alzarsi e, addirittura, inginocchiarsi davanti a questo simbolo di grandezza.
Come il pugno alzato sul podio delle Olimpiadi del ’68 di Smith e Carlos. Silenzioso. Pacifico. Occhi bassi.
Come il gesto inconsapevole di Rosa Parks, che non sapeva che in quel momento stava scrivendo un pezzo di storia statunitense.
Gesti che hanno tutti un’unica matrice: la protesta contro qualsiasi forma di oppressione.
Protesta silenziosa e pacifica. Perché a gridare e a fomentare l’odio e la violenza ci sta pensando il presidente.
Ecco, io sono democratica, ho votato per Obama, alle mie prime elezioni da “naturalizzata”.
Non ho votato per Trump.
Ma Trump ha vinto e, per almeno quattro anni dobbiamo tenercelo.
Trump sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale e non è una buona cosa. In un Paese dove il concetto di accoglienza, con il cosiddetto meltin’ pot, che se si guarda in profondità, non è che sia mai esistito, gli animi anti-qualsiasi forma di minoranza stanno uscendo sempre più allo scoperto. Allora si può pure chiamare i neri “African-Americans”, utilizzando quel politically correct che piace tanto, ma neri restano. Così come i messicani, che se non ci fossero loro a fare i lavori più umili, nessuno si abbasserebbe a farli.
Il gesto dell’inginocchiarsi io lo colloco tra quelle proteste silenziose, tanto più se chi si inginocchia sono personaggi famosi e influenti nello spettacolo e nello sport.
Trump ha detto che bisognerebbe boicottare il football americano. Già. Se non si riescono a togliere le armi agli americani, figuriamoci se possiamo toccare il football americano con il Super Bowl che ogni anno è guardato da tutti. Proprio tutti gli americani. Anche da chi, come me, non ne capisce niente. Non si può togliere lo spettacolo a un americano.
E allora ci si inginocchia. Come a pregare che questi quattro anni passino presto.
Come a sperare che finalmente le minoranze non debbano essere le prime a pagare lo scotto di questa politica sconsiderata e ignorante che Trump sta proponendo.
Ma ci si inginocchia anche di fronte alla sconfitta. E questo è ciò che mi spaventa di più. Più di un uragano, la sconfitta di un popolo che non riesce ancora ad amalgamarsi completamente.
Allora non avrebbe senso onorare una bandiera e un inno nazionale. E ci si inginocchia, chiedendosi dove si è sbagliato. Ma, soprattutto, chi ha sbagliato. Ci si inginocchia chiedendo un poco di respiro, per non finire soffocati dall’ego di chi non ha il minimo rispetto per ciò che è stato e che punta il dito alla pancia di quegli americani arrabbiati e delusi e, per far loro credere di essere grandi, sminuisce chi, a rendere questo mondo un posto vivibile ci prova sul serio.[:]