raccontare, godere,silenzio, amiche

“Quindi ti sei fidanzata? E lui com’è? Dove vi siete conosciuti? E dove ti ha portata al primo appuntamento? Ma ce l’ha lungo?”

Ah, le migliori amiche! Che bello poter condividere con loro le sofferenze e i dolori della vita di tutti i giorni. Nei lunghi pomeriggi d’inverno, davanti a una buona tazza di cioccolata fumante con panna e meringhette caramellate (una tisana alle erbe senza zucchero sarebbe stata più realistica, ma si sa che a noi donne piace romanzare un po’), lamentarsi dei rispettivi fidanzati elencandone difetti e mancanze senza soluzione di continuità. Sdraiarsi a bordo piscina sotto il sole di Ferragosto (di solito piove e stiamo in casa a mangiare la peperonata della nonna, è vero, ma che cosa vi ho detto prima?) raccontandosi le rispettive vacanze di merda con ciclo emorragico e temporali a catena, mentre ci consoliamo ammiccando verso il bagnino. Lo so.

Ma come la mettiamo quando, per grazia divina, per non si sa quale strana congiunzione dei pianeti, per qualche incomprensibile pausa dalla consueta sfiga leopardiana, la fortuna è dalla nostra parte e abbiamo solo cose belle da raccontare?
Sì, è una situazione transitoria, una cosa temporanea, ma succede.

Succede.

Ed è allora che ci ritroviamo di fronte al dilemma più importante della nostra intera esistenza (che non è tacchi o non tacchi, come crediamo tutte): glielo dico oppure no?
E se le nostra migliore amica ha passato una giornata orribile a pulire la cacca del cane in soggiorno?
E se ha sgarrato la dieta e si è scofanata una vaschetta intera di gelato e adesso si sente in colpa?
E se ha il ciclo?

E all’improvviso ci ritroviamo catapultate in un vortice di scuse e racconti di fantasia (che J.K. Rowling levati proprio) per giustificare l’inquietante presenza di quell’insolito sorriso che non riusciamo a lavarci via dalla faccia.

MA PERCHÈ?

Perché non possiamo esprimere per una volta tutta la nostra gioia, senza il timore che qualcuno possa lanciarci contro una sfilza di parolacce, duecentodiciotto maledizioni in turco antico e il vecchio cigno di finta ceramica della comunione del cugino abruzzese?

Perché non possiamo sorridere al commesso dell’Esselunga mentre domandiamo dove si trovino gli assorbenti interni, senza che lui pensi che stiamo cercando di approcciarlo in maniera disgustosamente esplicita o che siamo completamente fuori di testa? (O entrambe le cose?)

Perché non possiamo sentirci libere di raccontare quanto è stato bello fare l’amore in macchina, sotto ai lampioni del parco giochi, la notte precedente, senza che l’interlocutore di turno ci chieda distrattamente se abbiamo il clima automatico bizona e gli specchietti retrovisori elettrici perché se no sei pezzente e, ah, giusto, sesso in macchina non lo fa da dieci anni e fa troppo male pensarci?

Perché dobbiamo diventare bamboline parlanti che ripetono Niente di che come se non avessero a disposizione un dizionario dei sinonimi (eppure la Barbie Maestra esisteva ed era pure figa) per giustificare ogni affermazione apparentemente positiva riferita a se stesse ?

Ve lo dico io.

Perché, che si tratti della migliore amica storica o della bidella della scuola elementare di Castel San Giovanni, la gente fa fatica a rallegrarsi sinceramente per gli altri. È una cosa umana, normale, naturale. Non c’è nulla di male in questo, l’importante è sapere dove fermarsi a raccontare i fatti propri se non si vuol rischiare di rimanere delusi.

Ci saranno giornate in cui un vecchio amico avrà voglia di ascoltare il resoconto dettagliato della festa di compleanno a sorpresa per il nostro criceto e ci chiederà gentilmente di che colore fossero i palloncini; e poi ci saranno giornate in cui postare la foto del fidanzato coi resti smangiucchiati di una pizza extra-large tonno e cipolle, con tanto di dita intrecciate, filo di saliva e citazione romantica, non sarà la scelta più azzeccata per evitarsi commenti sgradevoli e uno sputo in fronte.

“Perché la serata con Marco, sì, è andata bene, niente di che a dire la verità, però ci siamo divertiti. Ma neanche tanto, alla fin fine. A un certo punto mi si è pure spezzata un’unghia, un disastro guarda. Alla fine è stato bello, molto bello, bellissimo, ma poteva andare meglio. Mi ha chiesto di sposarlo. Ma niente di che, insomma.”

 

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