Prima dei miei 40 anni non ero mai andata nemmeno su un Ciao. 

Un giorno vado dal concessionario e questo mi porta davanti a una fila di scooter di vario genere e inizia a raccontarmeli.

«E questa?». Gli chiedo.
«Ma signora… Questa è una moto! 650 di cilindrata».
«Perfetto, la prendo».
«…la prende?».
«Sì, la compro, la porto via».

Si dirige verso l’impiegato che fa le pratiche, scambia qualche parola sottovoce e poi se ne va, agitando la manina e sorridendo come si salutano i pazzi.

Era l’agosto di una estate da 50 gradi all’ombra e io, bardata come un cavaliere di Malta, con addosso tutte le protezioni che erano riusciti a vendermi insieme alla moto, avevo la sensazione che dentro alla giacca ci fosse anche un forno a legna per le pizze. 

Salgo a cavallo della mia potente due ruote-che-non-so-guidare e, saltando come un canguro, mi allontano senza alcuna dignità.

Primo ostacolo, il casello: devo pagare.

Cerco degli spiccioli nelle tasche ma con i guanti non ho tatto. Non lascio la frizione, che non ho idea di che cosa farebbe la moto, la tengo stretta con la mano sinistra e intanto, con i denti, mi tolgo l’altro guanto. Inizio a ravanare con la mano destra nelle tasche posizionate sul lato sinistro. Tutto con casco in testa, abbigliamento tecnico, protezioni, stivali e una temperatura vicina al punto di fusione del piombo.

Il casellante ride.

Cerco, cerco, niente spiccioli. Fanculo. Allora spengo il motore. Tiro giù il cavalletto, ma sono troppo vicina alla guardiola, la moto si inclina e io con il casco tiro una sonora capocciata contro il vetro antiproiettile del casellante.

Il casellante si preoccupa.

Scendo che sembro Robocop. Mi levo il casco, mi levo l’altro guanto, appoggio tutto sulla sella. Trovo ‘sti cazzo di spicci. Glieli passo. Mi rimetto i guanti, mi rimetto il casco, le protezioni. Risalgo in sella, inserisco la marcia.

Il casellante ha paura.

Mi dà il resto. E io lo butto via!
Allontanandomi sgangurando poco dignitosamente come sono arrivata.