Trattare in modo ironico un tema come la violenza sulle donne non è affatto semplice.

Primo perché non c’è proprio niente da scherzare, vista l’oggettiva drammaticità della situazione; secondo a causa della poca consapevolezza del fenomeno che spesso dimostrano non solo gli uomini (che già sarebbe molto grave) ma persino alcune donne.

Ultimamente mi è capitato, in almeno tre occasioni di troppo, di assistere incredula a una sorta di negazionismo, stando al quale i femminicidi non esisterebbero, ma sarebbero un’invenzione dei media (negli anni ’60 si diceva la stessa cosa della mafia), il che renderebbe addirittura sbagliato l’uso di quest’orribile neologismo, dal momento che anche le donne usano violenza sugli uomini.

Ora, pur dandovi per buona che i sabato pomeriggio all’Ikea costituiscono una sottile e subdola forma di violenza, vorrei dire ai negazionisti che, sebbene anche gli uomini in Italia muoiano a centinaia l’anno (dati ISTAT relativi al 2015 attestano in seicento le morti violente di cui sono stati vittime gli uomini in Italia), la quasi totalità di essi ha trovato la morte per mano di un altro uomo, non di una donna che non sopportava di essere stata lasciata.

La violenza sulle donne, comunque, è un fenomeno diffuso a tutte le latitudini, per cui non avrei dovuto sorprendermi troppo per quello che ho scoperto quando, leggiucchiando testi di canzoni in cerca di ispirazione, mi sono soffermata per la prima volta con reale interesse su una delle mie canzoni preferite dei Police.

Sto parlando di Every breath you take, che da oggi in poi potremo ribattezzare La ballata dello stalker.

 

Ecco – verosimilmente – qual è stato l’antefatto che ha portato alla genesi di quel testo.

Vi ricordate quando Sting, passeggiando per le strade di Soho, aveva incontrato Roxanne, strappandola al marciapiede e regalandole una vita agiata che non prevedesse il mercimonio di sé?
Ecco, qualche anno dopo la fanciulla deve aver iniziato ad annoiarsi, perché Sting negli anni ’80 era ancora ben lungi dall’aver imparato le meraviglie del sesso tantrico, ma in compenso viveva una vita piuttosto libertina, che se è la tua può anche essere divertente, ma se sei la compagna fai più bile che altro.

Così, dopo aver provato a far capire al suo bel biondino che continuando in quella maniera non sarebbero andati lontano, dal momento che lui non cambiava di una virgola le proprie abitudini, Roxanne decide di lasciarlo. E siccome lui aveva già dimostrato di non prendere benissimo l’abbandono (aveva già scritto So lonely), la nostra eroina, sperando di evitare il conflitto, gli lascia un message in a bottle (sapeva che un message on the fridge non lo avrebbe trovato in fretta, perché rincasando, più che cercare una coscetta di pollo avanzata in frigo, Sting avrebbe stappato un buon rosso, ché già iniziava ad apprezzare il Chianti).

In quel messaggio Roxanne sciorina tutta la trafila di cose che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire al momento di essere lasciato, ma che tutti, prima o poi, abbiamo detto a qualcuno lasciandolo: non sei tu sono io, il tuo amore è troppo per me, troverai un’altra che sappia apprezzare tutto quello che io non riesco a valorizzare al meglio e via dicendo.

Sting non la prende benissimo.

È roso dalla gelosia e dal sospetto che ci sia di mezzo un altro. E inizia a seguirla. Da questi costanti appostamenti, che mandano Roxanne al manicomio, nasce Every breath you take.

Ed ecco cosa dice questo pezzo all’apparenza così scanzonato:

«Ogni respiro che prenderai, ogni mossa che farai, ogni legame che spezzerai, ogni passo che muoverai io ti starò guardando

 

Già così mi sembra un filino ansiogena, ma poi continua:

«ogni singolo giorno, ogni parola che pronuncerai, ogni gioco a cui giocherai e ogni notte in cui sarai sveglia io ti starò guardando

A questo punto chiunque di noi avrebbe già chiamato la polizia. Ma lui si auto-assolve così:

«Oh, che ci posso fare? Tu mi appartieni! Quanto soffre il mio povero cuore per ogni passo che muovi!»

E alla fine, dopo l’ennesima notte insonne, confessa:

«da quando te ne sei andata mi sento perso. La notte sogno e riesco a vedere solo il tuo viso, mi guardo intorno, ma non riesco a rimpiazzarti, sento un gran freddo, spasimo per un tuo abbraccio e continuo a implorarti di tornare

Ed ecco il nocciolo della questione.

Tutta la canzone, anche se non sembra, ruota intorno a quell’accorato: io mi guardo intorno, ma non riesco a rimpiazzarti.

Perché se invece riuscisse a rimpiazzarla, col cavolo che starebbe lì a piangere ogni notte implorandola di tornare!

Eccolo, il bandolo della matassa! Il bisogno costante di far tacere il vuoto. Sta tutto lì. Perché in realtà, appena Sting si è ripreso dalla sua malattia, forse anche con l’aiutino di Scotland Yard, che gli ha recapitato una bella ordinanza restrittiva, lui ha ricominciato a uscire la sera e a suonare in giro.
E proprio dopo uno di quei concerti ad alto tasso alcolico, si è finalmente reso conto che la sua era un’ossessione. Che la vita continua, che il mondo è pieno di possibilità.
E poi ha conosciuto questa ragazza fricchettona, vegetariana, dedita allo yoga e al tantrismo. E lì ha svoltato.

Roxanne, invece, ha continuato una lunga e felice vita in una piccola cittadina del Sud dell’Inghilterra, in riva al mare, dove si era trasferita per riprendersi dallo stress dello stalking di Sting. Lì ha conosciuto un brav’uomo, proprietario di un piccolo negozietto di esche vive e attrezzature per la pesca.

Vivono felici, circondati dall’affetto dei loro tre figli e sette nipoti.

Tutte meritano il lieto fine.

Perciò datevi una calmata, cari amici uomini.