Mentre in Australia continuano a soffrire per il caldo e in Kenya affrontano l’invasione delle cavallette, qui in Italia siamo in quarantena da settimane per tentare di contenere il contagio da Covid-19, o come si chiama.

Come in una emergenza che si rispetti, il livello di sicurezza si è trasformato col passare del tempo in una serie di misure così scientificamente definibili:

  • chiudiamo le scuole qualche giorno in più così la gente fa la settimana bianca

  • chiudiamo le scuole ancora un po’ ma senza poter più fare la settimana bianca

  • permettiamo la circolazione delle parrucchiere ma non di quelli che vorrebbero andare a farsi la piega

  • chiudiamo in casa le parrucchiere e facciamo uscire solo quelli tuta da ginnastica.

In tutto questo susseguirsi di ordinanze, fake news, discorsi alla nazione e vip che fanno i tutorial, ecco la breve storia di una modesta e anonima quarantena.

Prima settimana:

esulto in cuor mio per la chiusura prolungata delle scuole, parto per la settimana bianca ed evito di manifestare contentezza nella chat di classe. In montagna tento di sconfiggere il virus in seggiovia, con la sauna finlandese, con lo sforzo dello sci da fondo, con le passeggiate nella neve. Tentativo riuscito: unico possibile contagio, quello da pulci di camoscio.

Seconda settimana:

scopro che la chiusura scuole è stata prolungata proprio mentre sto portando sci gli in cantina. Ma porc... lascio la valigia invernale pronta, non si sa mai.
Ordino online cibi che digerirò tra 6 mesi, approfitto per un salto all’Ikea mentre non c’è coda al self service, provo l’ebbrezza del cinema a distanza (e non parlo di Netflix). In tre giorni pulisco frigo, microonde, lavo i piumoni invernali e faccio il cambio di stagione da inverno a primavera appena accenntata.

Terza settimana:

l’estensione della zona rossa in tutta Italia mi coglie alla sprovvista e comincio a progettare il raggiungimento della Valle d’Aosta passando con gli elefanti dal Monte Bianco. Non dovrebbe accorgersene nessuno. Alla notizia delle prime multe, mio malgrado, disfo la valigia e mi attrezzo per la sopravvivenza urbana in quarantena.
Faccio un contratto con il Paraguay per la fornitura di energia a basso costo perchè tra i compiti a casa, il registro elettronico e lo smart working gestiamo circa 12 diversi dispositivi perennemente connessi.

Smetto di dormire in tuta perché la tuta diventa la mia nuova divisa: ci esco per fare la spesa con la borsa di tela a tracolla, per fare finta di fare jogging, per fare finta di allenarmi in bici e anche per portare fuori il cane (che effettivamente ho, anche se un po’ moribondo… speriamo duri ancora qualche mese).

Quarta settimana:

controllo le provviste: ho della panna montata ma non ho le fragole e sto per finire gli alcolici in casa. So che #andràtuttobene.

Ma non benissimo.