[:en]Cara Presidente del Friuli Venenzia Giulia, On. Deborah Serracchiani.
Mettiamo pure che tu sia stata fraintesa, male interpretata e pure strumentalizzata. Succede, capita tutti i giorni in questo malandato Paese, tra gli ultimi al mondo per libertà di stampa e pluralismo dell’informazione.
Peró, per cortesia, spiegami meglio. OK?
Tu hai affermato (ci sono virgolettate le tue parole su tutti i principali media del Paese) che esistano modalità di stupro meno peggio di altre. Socialmente e moralmente più accettabili. E altre invece proprio intollerabili. Ad esempio, se a compiere violenza non è “uno dei nostri”, un padre, uno zio, un ex-compagno ma un immigrato, un richiedente asilo.
Questo perchè, oltre all’atto in sè, da condannare tout-court, viene meno quel vincolo di fiducia sulla base del quale viene concessa accoglienza nel nostro Paese.
Ti sei collegata ad un tentativo di stupro avvenuto nella città da te amministrata e hai rilasciato una serie di commenti ritenuti inaccettabili dai tuoi stessi compagni di partito. Del PD. Che, sulla questione immigrati, non stanno certo alle latitudini della Lega Nord.
Ora. Passato il quarto d’ora di sconcerto, prova a spiegarmi perchè hai voluto introdurre questa discriminante che, da un lato, non serve a portare elementi nuovi sul tema purtroppo scottante della violenza sessuale mentre, dall’altro, getta benzina sul fuoco della gestione politica dell’immigrazione extracomunitaria.
In più, a ben guardare, apre anche l’uscio a tutta un’altra valanga di “ma” e di “peró”, che potrebbe categorizzare lo stupro per indici crescenti di gravità:
– Lei ci stava, poi ha cambiato idea. Certe indecisioni sono fatali.
– Lei girava in minigonna, provocando. E l’uomo è cacciatore, si sa.
– Lei aveva avuto una relazione con lui, finita da qualche tempo. Quindi c’era un percorso di vita in comune.
– Lui era innamorato perso, non sopportava l’idea di perderla. Poverino, era fuori di sè.
– In fase di stupro, lei NON gridava, per lo shock e la vergogna ma avrebbe dovuto.
Ora, lui era un italiano o un turco o un maghrebino dovrebbe fare differenza? Cosa c’entra la nazionalità del violento con l’inconcepibile bassezza dell’atto in sè?
Cerchiamo di renderci conto, quando parliamo, del ruolo che rivestiamo e dei risvolti socio/politici delle nostre esternazioni.
Cara On. Serracchiani, questa volta per me è NO.[:it]Cara Serracchiani,

mettiamo pure che tu sia stata fraintesa, male interpretata e pure strumentalizzata. Succede, capita tutti i giorni in questo malandato Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di stampa e pluralismo dell’informazione.

Però, per cortesia, spiegami meglio. Ok?

 

Tu hai affermato (ci sono virgolettate le tue parole su tutti i principali media del Paese) che esistano modalità di stupro meno peggio di altre. Socialmente e moralmente più accettabili. E altre invece proprio intollerabili.

Ad esempio, se a compiere violenza non è “uno dei nostri”: non un padre, uno zio, un ex-compagno, ma un immigrato, un richiedente asilo.
Questo perché, oltre all’atto in sé, da condannare tout-court, viene meno quel vincolo di fiducia sulla base del quale è concessa accoglienza nel nostro Paese.

Ti sei riferita a un tentativo di stupro avvenuto nella città da te amministrata e hai rilasciato una serie di commenti ritenuti inaccettabili dai tuoi stessi compagni di partito. Del PD. Che, sulla questione immigrati, non stanno certo alle latitudini della Lega Nord.

Ora – passato il quarto d’ora di sconcerto – prova a spiegarmi perché hai voluto introdurre questa discriminante che, da un lato, non serve a portare elementi nuovi sul tema, purtroppo scottante, della violenza sessuale. Dall’altro, getta benzina sul fuoco della gestione politica dell’immigrazione extracomunitaria.

In più, a ben guardare, apre anche l’uscio a tutta un’altra valanga di “ma” e di “però”, che potrebbero categorizzare lo stupro per indici crescenti di gravità:

– Lei ci stava, poi ha cambiato idea. Certe indecisioni sono fatali.
– Lei girava in minigonna, provocando. E l’uomo è cacciatore, si sa.
– Lei aveva avuto una relazione con lui, finita da qualche tempo. Quindi c’era un percorso di vita in comune.
– Lui era innamorato perso, non sopportava l’idea di perderla. Poverino, era fuori di sè.
– In fase di stupro, lei NON gridava, per lo shock e la vergogna ma avrebbe dovuto.

Ora, che lui fosse un italiano o un turco o un maghrebino dovrebbe fare differenza? Che cosa c’entra la nazionalità del violento con l’inconcepibile bassezza dell’atto in sé?

Cerchiamo di renderci conto, quando parliamo, del ruolo che rivestiamo e dei risvolti socio/politici delle nostre esternazioni.

Cara On. Serracchiani, questa volta per me è NO.[:]