Sono una ragazza all’antica: prima leggo il libro e poi guardo il film. Ho seguito il mio schema anche in questo caso e devo dire che il romanzo batte la serie 3 a 0. Però, per me è sempre così. Per buona pace di Steven Spielberg che, sono certa, se ne farà presto una ragione. Ciononostante devo dire che Little Fires Everywhere, al netto di qualche accorgimento per rendere il ritmo più incalzante e la trama più avvincente, dà un’interpretazione del romanzo credibile e ben costruita.

Si parla soprattutto di maternità. Lo so, il tema non è esattamente inedito, di maternità ci hanno parlato in tutte le salse, da quella di soja alla maionese, ma la serie pone le domande nel modo giusto.

Com’è una buona madre? È il primo quesito che ci viene posto. Ed ecco i due prototipi che ci vengono presentati.

Da un lato abbiamo Elena, la madre borghese, upper class, apparentemente molto risolta e così organizzata che mette la merenda dei quattro figli in quattro sacchetti dai colori diversi (e qui è quando io, mamma casinista, ho un sussulto e cado dalla sedia).

Dall’altro c’è Mia, l’artista di colore alternativa, squattrinata e sempre in fuga. Insomma una tipa “leggermente” fricchettona.

In quale delle due ci identifichiamo di più? E soprattutto da che parte stiamo? Perchè le protagoniste dopo un periodo iniziale di calma apparente entrano presto in conflitto. Che è un eufemismo per dire che iniziano a scannarsi con il livore di Sgarbi e Barbara D’urso nel celebre litigio.

Ogni pretesto è buono per entrare in competizione, dal modo di essere madre alla ricetta per l’arrosto. Se poi ci aggiungiamo gli stili di vita molto diversi, le classi sociali contrapposte e le ipocrisie, la frittata è fatta. Peraltro il tutto è condito da una sincera e spontanea antipatia reciproca. Insomma, le due si stanno grandemente sulle palle.

In realtà qualunque sia la nostra scelta, punteremmo sul cavallo sbagliato. Perchè scopriremo con il tempo che sono entrambe donne frustrate e irrisolte che nascondono sotto il tappeto segreti ingombranti come rinoceronti bianchi insieme a scelte sbagliate. E ciò che è peggio è che gli errori che si portano dietro, si ripercuoteranno inevitabilmente sul loro modo essere madri. Saranno i figli infatti a pagarne il prezzo più alto.

E poi c’è l’altra scomoda domanda che pone la serie: chi deve essere considerata madre? Quella che partorisce o quella che cresce il figlio? Da che parte stiamo questa volta? Con l’immigrata clandestina che si è vista costretta ad abbandonare la propria creatura o con l’americana benestante che l’ha accolta e accudita?

Se per noi scegliere è impossibile, non si può dire altrettanto di Elena e Mia, che si schiereranno come le curve sud di due squadre rivali in una partita di Champions League.

Insomma, quando vi sentite delle madri di merda e, lo so, c’è un momento in cui capita a tutte, guardate Little fires everywhere. Il confronto con Elena e Mia non vi farà passare i sensi di colpa, ma vi farà sentire decisamente meglio.