Il cane a lavoro.
Era ora di dare un segnale forte. Sono, anzi mi permetto di dire che dire siamo, tutte sollevate.
Finalmente conciliare il lavoro con la nostra vita familiare non sarà più un problema.
Finalmente non dovremo più scegliere tra carriera e tempo da dedicare ai nostri piccoli.
Se prima andavamo in ufficio con l’ansia: “E se faccio tardi? E se mi cerca e non mi trova? Povero il mio tesorino, senza la sua mamma” e magari lavoravamo male perché non vedevamo l’ora di uscire per dedicare qualche ora alla nostra famiglia, il problema è stato finalmente portato alla luce in modo concreto.
Basta dividersi. Andiamo incontro alle donne!
Diciamo tutti sì, ai cani in ufficio, durante l’orario di lavoro.
No, ma davvero.

L’assessora alla cultura del Comune di Genova, Elisa Serafini, ha ragione. “Portare il proprio cane nel posto di lavoro migliora il clima tra colleghi e induce le persone a non correre a casa per portar fuori il cane”. Questa iniziativa non può che portare benefici.
Nessuno è più d’accordo di me.
Un ambiente amorevole e rilassato è solo un guadagno per tutti.
Peccato che il nostro Paese viva un paradosso tale, al momento, che persino un’iniziativa intelligente come questa rischia di essere grottesca.

Sì perché magari puoi portare il cane al posto di lavoro ma non hai il posto di lavoro.
O magari hai il posto di lavoro ma sei precaria, guadagni poco e non te lo puoi permettere, il cane, che comunque ha i suoi costi.
E sì, poi c’è anche quell’altro problemino.
Sì, proprio quello: l’ utero. Perché se sei pure donna e vuoi fare un figlio, magari portarti il cane a lavoro ti fa stare meglio ma non risolve il problema della parità salariale, delle mancanza di tutele, del divario incivile tra carico di lavoro domestico tra donna e uomo, degli asili e magari non hai i nonni o i soldi per pagare una Tata è un problema serio.
Tutte queste cose che ti fanno passare la voglia di metter su famiglia.
Quindi, peccato davvero per un’iniziativa bella che è inevitabilmente offuscata da un contesto in cui è già tanto se possiamo portarli al parco, un’oretta.
I figli, dico.