Non sono mai stata una grande sportiva. Per me le uniche maratone previste sono quelle davanti a Netflix o a tavola nei giorni di festa (ho sposato un pugliese). Sono così pigra che, per me, il massimo è stare sul divano e lavorare a maglia, figuriamoci mettermi a correre.

Eppure, ogni tanto la stramba idea di mettermi a correre arriva, allora tiro fuori le scarpe, i pantaloni, la maglietta, il gilet se fa freddo, creo la palylist, compro un gatorade per il rientro, scruto il cielo in cerca della nuvoletta che mi faccia dire mmmmmhhhh butta pioggia, meglio di no, in sua mancanza mi vesto ed esco.

Tempo di corsa totale 8 minuti, quando mi impegno. Primi crampi e dolore alla milza già dopo sessanta secondi. Al che mi dico, in fondo per correre male è meglio camminare veloce. Allora cammino. E io a camminare sono bravissima. Cammino ovunque, non ho la macchina, vado a piedi a portare i bambini a scuola, li riporto a casa, quasi sempre con uno dei due in braccio per un totale di 3 km al giorno, vado al lavoro, faccio commissioni, vedo amiche, sempre a piedi o in bicicletta. Ma di correre, in maniera seria non se ne parla.

Eppure abito vicinissima a un grande e bel parco, lungo il fiume, potrei farlo. Ma non lo faccio.

Non solo perché non mi piace, diciamoci la verità, ma anche perché spesso non mi sono sentita sicura. Un’estate, pre figli quando avevo tanto tempo, ci avevo provato con costanza, andavo al parco in bicicletta e li poi correvo. Cuffie nelle orecchie e via. Ho iniziato a togliere le cuffie, perché la sensazione di essere sola in un posto così grande senza poter sentire non mi faceva star tranquillissima, alla fine ho tolto pure la corsa. Non mi è mai successo nulla, mai una molestia, ma la tensione c’era. E a quanto pare questa non è una fissazione mia, niente affatto.

Negli Stati Uniti, secondo un’indagine, l’84% delle donne che abitualmente corrono almeno una volta si sono sentite minacciate. Una percentuale altissima. Per alcune questa sensazione si è tramutata in una vera e propria molestia. Spesso solo verbale, talvolta fisica, in alcuni casi è sfociato in uno stupro. È che le donne che corrono, spesso, sono indifese. Per orari di lavoro e clima (in estate provate voi a correre alle 13), o si esce al mattino presto o all’imbrunire, momento in cui c’è poca gente in giro e la sensazione di isolamento aumenta.

In Piemonte, a Torino dove abito, c’è un grande parco che si chiama Valentino, come il protettore degli innamorati, come lo stilista e come l’attore latin lover degli anni ‘20. È un parco di una bellezza struggente, con il fiume vicino, angolini rocciosi, fontane, piccole salite e bellissimi ponticelli. Un parco che non sfigurerebbe di fronte al Central Park o Hyde Park. E’ pure pieno di scoiattoli. Ma non è sicuro, come non sono sicuri molti parchi italiani. E allora che si fa? Noi che siamo donne furbe, non ci facciamo scoraggiare. È proprio qui che Margherita Cavaglià, alle 15 di un pomeriggio come tanti, è stata aggredita. È sempre qui che ha deciso di tornare a correre, ma non da sola, con altre donne. Ne è nato un gruppo facebook, si chiama Girls Just Wanna Have Run. Sì, come la canzone di Cindy Lauper. Gruppi di donne, ragazze, di ogni età unite dall’amore per la corsa, che non vogliono veder morire la propria passione soffocata dalla paura, da uomini convinti che i nostri corpi siano loro proprietà, da una società che spesso colpevolizza la vittima (già mi immagino: certo che a correre in un parco un po’ se la cerca. Certo che con quei pantaloni attillati e la canotta un po’ se la cerca). E allora le donne, le ragazze, che fanno? Si ribellano. Si divertono. Corrono. Perché, alla fine, si può dire tutto quel che si vuole, ma noi continueremo a fare quello che ci pare.

Provate a impedircelo!