Raqqa ieri:
esultante come vie e piazze italiane quando la Nazionale vince i Mondiali.
Raqqa, Siria del nord, capitale del sedicente Stato Islamico.
Quello degli sgozzatori seriali dell’ISIS, tanto per…
Riconquistata dall’alleanza di forze filo-curde a guida statunitense (ça va sans dire!) già soprannominata “Vedi Raqqa, Alì? E poi muori”.

I numeri:
-3250 morti tra cui 1130 civili
-100… (aggiungete a piacere il numero dei dispersi e dei feriti e arrotondate per eccesso)
-270.000 sfollati nel nulla delle macerie e dell’uranio impoverito
-0 assistenza umanitaria.

Tragedia nella liberazione, il solito farne le spese dei più deboli.
Che siano vecchi, bambini o donne poco importerà nella somma del sacrificio dei molti.
Come in tutti i conflitti della Storia, dove quello che resta nei libri è solo il nome di chi ha pianificato a tavolino e sottoscritto la vittoria da una stanza sontuosamente arredata.

Perciò anche se il seguito di questo pezzo non finirà mai non dico in un libro di storia, ma nemmeno su Trivago, “Confronta i morti e decidi tu il prezzo”, mi piacerebbe farne il primo capitolo di un universale testo di Epica, dove narrare uno degli eventi più mostruosamente eroici del secolo.

Avete mai fatto caso che Epica finisca per A?
Perché se i veri uomini ne sono i protagonisti più presenti, quella che per prima ne coniò il nome, doveva essere sicuramente una donna.
Conscia che ” …i cavalier e l’arme” avrebbero fatto come sempre la loro porca figura, mentre le donne avrebbero dovuto accontentarsi degli scarti di redazione.
Magari solo di una A finale.

E a Raqqa (A finale!) di donne che non volevano essere solo scarti di redazione se ne sono viste parecchie.
Parlo delle combattenti curde, il volto quasi ignorato dell’Islam, che sono scese in campo per riprendersi in mano la libertà, in luoghi dove di libero non c’era più nemmeno un posto al cimitero.
Lasciando tutto, vite, famiglie, primi amori e fare l’alba con le amiche, per andare a non farsi fottere il futuro.

RENDIAMOCI CONTO
della portata di quest’epopea.
Donne nel fiore degli anni, a viso scoperto, in tuta mimetica contro le belve seriali della civiltà, le forze del Male del Medioevo della ragione, della democrazia e dell’emancipazione femminile.
MICA PIZZA E FICHI!

Qualcosa che nell’Islam maschiocentrico e burqafriendly è ai confini della realtà.
Come se fossero state le Sabine a “rattare” i Romani.
O delle donne ebree a dar fuoco al bunker di Hitler.
O le madri dei kamikaze a sostituire le cinture esplosive con cinture taroccate a salve.

Ora io me le immagino Hasrad, Berman, Pervin (i nomi NON SONO FRUTTO DI FANTASIA) mentre ascoltano l’ultimo disperato comunicato radio dal nord della Siria e si messaggiano nel gruppo Whatsapp “Aperibomba a Raqqa”:

Hasrad “Raga, dove ci si trova?”
Berman “Alla grotta dei kalashnikov, me ne hanno parlato bene”
Pervin “Ritardo 5 minuti, non so che mimetica mettermi”.

(Tutto in nome di Allah, tra l’altro.
Ma non di quello “Akbar” urlato prima di ogni carneficina in centro.
Quello che è “Akbar” per ogni buon credente, perché misericordioso e magnifico).

Scusate, per la foga da celebrazione davo per scontato sapeste che per quelli che giocano al rISISko del Califfo, il massimo disonore è essere uccisi in battaglia da quelle cagne inferiori che sono le donne, visto che precluderebbe loro sia il Paradiso che il privé riservato ai morti ammazzati che sono.
Ossia 72 vergini con le cosce alzate in segno di resa.

Perchè è soprattutto questo che arma le combattenti curde più di una granata, una baionetta o un kalashnikov in offerta tre x due.
Farsi vedere e vederli in faccia, prima del corpo a corpo finale.
Vedere a distanza ravvicinata il terrore di un coglione integralista che si caga sotto per essere nel mirino di un capo scoperto, di uno chignon in vista, di due occhi scuri liberi di puntare in ogni direzione.

Hasrad “Stavolta niente vergini, Kalid; ti toccherà accontentarti del culo di Mohammed”
Berman “Speriamo che ti costringano a guardare per l’eternità “Il giardino delle vergini suicide”.
Pervin “Raga,ne ho fatti secchi tre… stasera, in Paradiso, libere tutte!”

Per questo ci piacerebbe che la vittoria e la liberazione di Raqqa fosse in loro nome.
Nel nome di tutte le Hasrad, le Berman e le Pervid del Kurdistan, che stanno combattendo per essere libere e liberare il loro mondo, quindi il mondo intero, dai signori della schiavitù.
Con un proiettile pronto all’uso nel caso cadessero prigioniere.
Perché sanno benissimo l’inferno cui andrebbero incontro, ma che scelgono di arrischiarselo piuttosto degli stupri etnici e vite da sepolte vive.

Non so se a Raqqa o in Siria sia consuetudine innalzare monumenti agli eroi.
Se sì, pretendiamo che le donne curde ne siano il cuore e la sommità.
Se no, fermiamoci a scolpire nella memoria i nomi di tutte le Hasrad, le Berman e le Pervin, perché il monumento delle eroine è ovunque ci siano menti libere di poterle onorare.
In modo che nel prossimo indice di ogni libro di EpicA ci sia il capitolo “Donne con le curde”