In una vecchia barzelletta un uomo parla con un amico.
“Senti, devo andare in vacanza e voglio sbarazzarmi del gatto. Voglio portarlo lontano, dove possa sopravvivere, ma senza di me…”.
“Conosco il posto giusto. Entra in autostrada, esci al casello di Morate, poi tangenziale, prendi lo svincolo per Pallocchio, dopo 57 km sei a Casetritate, imbocchi il secondo tratturo sulla sinistra. Quando vedi un’enorme casa gialla giri a destra, poi alla fontana subito a sinistra, prosegui per il bosco. A quel punto scendi e ti inoltri a piedi sul sentiero giallo, quello tra gli abeti. Fai 7 km, c’è un capanno di caccia. Molla il gatto lì”.
Dopo qualche giorno i due si rincontrano.
“Allora, com’è andata?”
“Eh… è andata che se non fosse stato per il gatto col cavolo che sarei riuscito a tornare a casa!”.

È così. Un gatto è fortemente pro domo sua. E sa ritornarci a qualsiasi costo, nonostante le distanze, gli ostacoli del cammino, i depistaggi, i tentativi di rapimento, i tifoni, le targhe alterne e lo sciopero dei mezzi. Un po’ come Rocky si allena con le galline per migliorare lo scatto, immagino che gli agenti del Mossad si allenino coi gatti per riuscire in ogni caso a ritornare in patria.

Che al gatto non piaccia spostarsi lo dimostrano le reazioni davanti ad una qualsiasi forma di trasportino: ci sono gatti che si gonfiano come pesci palla in modo da non entrare nella gabbietta, gatti che si trasformano in Wolverine e con gli artigli provocano ai proprietari cicatrici paragonabili alla faglia di Sant’Andrea; qualcuno fugge a una velocità tale da non essere fotografabile dagli autovelox. Mi manca vederne uno che tenti di telefonare alla Polizia di Stato miagolando “Ehi Siri, chiama 113”.

Perché discutere di queste cose?
Perché tra poco sarà estate e si porrà un enorme problema: “Sto per partire per le vacanze, come gestisco il gatto?”.
Eh.
Già.
Vero.
Come?

Ora, ammettiamolo: il cane è facile.
Portare un cane in vacanza ha 3 fasi molto semplici: 1) prendi il cane e lo carichi in auto; 2) il cane mette la testa fuori dal finestrino e gli volano le orecchie; 3) quando il cane arriva in un qualsiasi luogo in cui c’è il padrone il cane è contento.
I luoghi di vacanza pullulano di pethotels o hotel pet-friendly, strutture pronte ad accogliere “i nostri amici animali” insieme ai rispettivi umani.
Di gente che ci porti vari dalmata, pitbull e golden retriever ne abbiamo; gli yorkshire stanno nelle borsette e i chihuahua nelle pochette. Ma onestamente di gente che si porti il gatto in albergo non ne ho mai vista.
Provando a googlare “hotel che accettano cani” i risultati sono 177.000; con “hotel che accettano gatti” se ne trovano 80.000, meno della metà; con “alberghi che accettano cani” scendiamo a 78.000, ma la disfatta arriva con “alberghi che accettano gatti”: 32.000 risultati.
Come proprietari di gatti, dunque, si parte in svantaggio. Almeno su Google.

Qualche tempo fa io e mio marito abbiamo adottato una gatta emarginata, una specie di Grizabella. Era stata abbandonata in un Autogrill, tra l’altro senza nemmeno gli spicci per un Camogli.
Ha sempre mantenuto la diffidenza verso gli umani e il terrore degli spostamenti, quindi quando siamo partiti per la prima vacanza abbiamo voluto trovare una soluzione per farla sentire al sicuro: “La portiamo con noi!”, ci siamo detti.
Quell’ anno eravamo in un appartamento, l’avevamo piazzata in una stanza libera con la sua area pappa e la lettiera più costosa del supermarket.
Bastò dimenticarsi una volta la finestra aperta per ritrovarla sul balcone in un audacissimo tentativo di fuga: se mio marito non l’avesse rincorsa, la gatta avrebbe tentato di ritornare a casa coi suoi mezzi. Me la immaginai alla stazione dei treni, con gli occhiali a specchio e un cappellino in testa mentre prenotava un biglietto per casa sul primo Frecciarossa in partenza.

L’anno successivo decidemmo di lasciare la gatta ai miei genitori: “Non sarà a casa sua, ma almeno c’è qualcuno che si prende cura di lei, la coccola e soprattutto la controlla!”. I miei genitori abitavano a 30 km da casa nostra, non ci sembrava una distanza sufficiente a farle sentire la nostalgia. Partimmo sereni. Dopo 3 giorni ci telefonò mia madre dicendo che la gatta era scappata.
Partimmo subito e (è la verità) la ritrovammo la notte stessa incastrata nel cancello dei vicini: la gatta -ehm, sì, era sovrappeso- aveva tentato una fuga alla El Chapo. Purtroppo la pancia le era rimasta incastrata tra le sbarre e stava fluttuando nell’aria tipo cavallino della giostra del luna park.

L’anno successivo prendemmo una decisione: adottiamo altri gatti.
Ne prendemmo due, così, per semplificarci la vita.
Poi ci sedemmo a tavolino per decidere la strategia per le vacanze. Dopo un summit che nemmeno a Camp David, capimmo che l’idea migliore era lasciarli tutti a casa.
In nostra assenza una signora molto gentile, che conosciamo e a cui lasciamo le chiavi, viene ogni 2 giorni a dar loro da mangiare e a controllare che sia tutto a posto.
Corollario: i gatti sono felici, la loro routine non è alterata e quando ritorniamo a casa i mici hanno tutto il tempo di farci sentire in colpa nonostante siano stati benissimo.
Lasciarli a casa è la decisione definitiva anche perché, e ritorniamo al punto da cui siamo partiti, i gatti odiano viaggiare.
Vorrei citare fonti adeguate a riguardo, ma pletore di scienziati non hanno ancora scoperto da dove provengano le fusa, figurarsi se possono capire cosa provano i gatti in auto il 15 d’agosto.

Ovvio che mentre si è in vacanza si abbia nostalgia: poi la tv sembra trasmettere solo spot con gatti, film sui gatti, mostre su gatti, l’Uomo Gatto e, in virtù di una nevicata eccezionale, i gatti delle nevi.
Per combattere la malinconia faccio così: mi immagino che i miei mici abbiano chiamato a raccolta tutti quelli del vicinato e che facciano feste a base di alcol e droga, quelle coi bicchieri rossi di plastica e taniche di alcol che si vedono nei film americani. Quelle feste da confraternite universitarie, dove quasi sempre ci scappa il morto.
Mi piace pensare che mentre i proprietari sono in vacanza a struggersi per i loro gattini, in realtà gli astuti felini siano sdraiati pancia all’aria tipo lanista sul triclinio, che fumino narghilè alla fragola e che abbiamo messo il più giovane della compagnia all’angolo della strada a fare da palo, per controllare che non arrivi nessuno.
In quel caso scatta un segnale, tutti ritornano alle proprie abitazioni, nascondono gli oggetti compromettenti sotto i tappeti e quando sentono la chiave nella toppa fingono di dormire, che è ciò che amano di più.
Dopo la loro casa, ovviamente.