Marie Laguerre sta camminando accanto a un bistrot, quando un uomo la incrocia e fa dei versi allusivi.

Marie gli dice di chiudere il becco. L’uomo va verso un tavolino del bistrot, prende un posacenere e lo lancia alla ragazza.

Non la colpisce in pieno, per fortuna. Lei si ferma.
Allora l’uomo le va vicino e le tira una sberla che ovviamente le fa perdere l’equilibrio.

Tutto è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza, i cui filmati sono stati subito messi a disposizione dal proprietario del locale, per dare il suo supporto alla ragazza che ha denunciato l’accaduto.

Guardando il video, si nota che i clienti non reagiscono subito alla scena, tranne uno, sul quale mi è caduto l’occhio da subito.
Un genio garbato che vede la scena del posacenere che vola, si infila, sempre con garbo, gli occhiali, vede il ceffone e in un lampo schizza dalla sua postazione per raggiungere l’assalitore. Mentre va, prende pure una sedia, per sicurezza.
Ripeto: salta su, senza pensarci un minuto, prende una sedia, e rincorre l’assalitore. Tutto dopo essersi infilato gli occhiali. Un mito.
Un Clark Kent al contrario.
Ma qui, la vera eroina, è Marie, che di fronte a un gesto e a un verso che conosciamo tutte, e che siamo abituate a incassare, ha risposto; che quando ha visto l’animale, sì, assalitore mi pare riduttivo, andarle incontro, è rimasta a fissarlo.
In seguito, anche i clienti si sono subito indaffarati per assisterla. Come lei stessa ha detto, non bisogna biasimarli se non sono intervenuti subito, è successo tutto in fretta.
Ed è in fretta, infatti, che succedono queste cose. Sguardi, frasi, allusioni, gesti, posacenere, a quanto pare. Poi, però, ti restano per parecchio addosso. Anzi, sedimentano per anni e finisci per sentirti sbagliata se ti permetti di dire “chiudi il becco” a qualcuno.

Per esempio, a me una volta uno ha toccato il culo. Non di striscio, eh. Lui si è fermato e bam. Il problema è che io ero piccola. Cioè, ero una ragazzina. E, da ragazzina, una non lo sa che si può rispondere.
Io non lo sapevo. Però ero pazza, quindi ho lasciato le mie amiche e ho rincorso questo tizio per prenderlo a sberle. Sberle a caso, ovviamente, sberle male assestate.
Lo schiaffeggiavo e lo fissavo “Ma sei scemo?!”.
Finché una mia amica non mi ha tirato via per un braccio, dicendomi che sono pazza.
Ad oggi, mi ricordo ancora la faccia di quell’uomo, mentre lo prendevo a schiaffi: giuro che sorrideva.
È successa la stessa cosa sulla metro, ma non ho reagito.
A un concerto, qualcuno, davvero non so come, è riuscito a infialrmi una mano sotto la maglia.
Sul treno, un uomo ha viaggiato tutto il tempo seduto accanto a me, con un braccio fisso sul suo bracciolo, in modo da toccarmi all’altezza del seno. Io mi spostavo e lui faceva lo stesso. Io pensavo “vabbé non lo fa apposta”. Poi sono scesa dal treno e prima di passargli accanto, questo mi ha chiesto il numero di telefono.
Oh, se non aveva 70 anni ne aveva 69.
Le cose successe sono tante, alcune non ho neanche voglia di raccontarle, ma va detto che non sono successe tutte quando ero ragazzina.
Sono successe sempre.
Praticamente da quando ho cominciato a riconoscermi come donna e non più come bambina. Da quando ho cominciato a capire che “maschiaccio” non vuol dire che non sei una donna. Ma qui è un’altra faccenda.
Il tipo che ho preso a sberle, non è stato l’esordio di questo tipo di cose, ma è stato il più orribile, ovviamente. Non solo per il gesto ma per l’orribile senso di vergonga successivo. Per la frase “non dovevi uscire da sola” che mi è stata detta quando sono riuscita a raccontarlo.
Forse per questa frase, per il senso di vergogna, ho smesso di essere pazza, su queste cose. Non ho mai più risposto.
Le uniche volte che sono risucita a farlo, l’ho fatto non in seguito a gesti così violenti, come una mano indesiderata che ti tocca.
E tutte le volte che l’ho fatto, poi ho avuto paura.
Ad esempio, il giorno che ho mostrato un doppio dito medio verso un tizio in bicicletta che fece dei versi non richiesti, ho tremato all’idea che quello tornasse indietro.
E non ho cominciato ad avere paura perché sono cresciuta e da grande una diventa più ponderata. E neanche perché il gesto del tipo che ho schiaffeggiato mi ha sconvolta.
Io ho cominciato ad avere paura perché dopo che ho reagito, nessuno mi ha detto “Hai fatto bene, cazzo” nessuno mi ha detto “Non è colpa tua”, come prima reazione.
Il massimo dell’empatia è stato “non dovevi essere sola” cioè hai bisogno di qulcuno che ti difenda.
Ecco perché una comincia ad avere paura. Ecco perché quello che mi ha toccato il culo rideva, mentre lo prendevo a schiaffi. Perché lui lo sapeva che in fondo è colpa mia che ho un culo e mi permetto pure di andare in giro da sola.
Poi, sì, forse rideva perché io sono un po’ scoordinata quando mi agito, ma questa è, di nuovo, un’altra storia.
Invece Marie Laguerre si è fermata. Anzi: ha risposto e poi si è fermata.
E lo ha fatto perché è stata coraggiosa ma soprattuto consapevole.
Perché è in un’epoca in cui le donne hanno cominciato a parlare.
E se le ricapiterà, non glielo auguro, non le verrà in mente la frase “è stata colpa tua” o il sorriso beffardo dell’assalitore.
Le verrà in mente il Clark Kent al contrario che ha inseguito il colpevole senza pensarci.
Perché i colpevoli, in questi casi, dovrebbero essere facili da individuare: sono quelli che lanciano i posacenere.
Invece non è mai davvero così semplice.
Ma lentamente lo sta diventando. Io mi trovo ancora a discutere con gente che dice cose del tipo “il femminismo è una scatola vuota”.
Da una scatola vuota, però, non vengono fuori gesti come questi, gesti piccoli ma potenti, tipici delle rivoluzioni.