dal blog russaliana.me – 

Natasha è una studentessa russa alla quale insegno italiano a Mosca, ha quarant’anni, ma ne dimostra cinquanta.
È grassa, odora di sale e porta i capelli ossigenati raccolti in un codino. Non so se riesce a guardarsi i piedi da vicino, ma quando mette lo smalto sulle unghie suo marito la guarda e le dice: “Mio dio, sei così sexy.” Glielo dice anche quando lei è seduta in macchina accanto a lui, avvolta da un paio di metri di cintura di sicurezza, o mentre è ai fornelli e, di spalle, mostra il suo immenso, rotondo, vibrante sedere.

Natasha allora gli risponde: “Ma tu non stai bene, ma mi hai vista? Ma fatti curare.”

“Natasha,” le dico io: “Ma come? Ma non capisci che questo significa che è ancora innamorato di te?“

“Ma quale innamorato? È una malattia… Arraparsi così per una grassona…”

Natasha ha conosciuto suo marito tramite amici, alla fine degli anni ’90. Le hanno mostrato una sua fotografia e le è subito piaciuto. Due dei parametri ai quali doveva corrispondere il suo futuro marito, infatti, erano questi: gambe lunghe, naso piccolo.

Avere dei parametri per Natasha è importantissimo, e ancora più importante è sapere cosa vuoi:
“Se non sai cosa vuoi, perdi tempo. Un giorno vuoi uno, un giorno vuoi un altro, non lo sai nemmeno tu.

Ecco come succede che passi  i trent’anni e non sei ancora sposata.

A me mi potevano presentare il ragazzo più bello del mondo, il più intelligente, il più ricco, se non corrispondeva ai miei parametri, lasciavo perdere.”

Si sono incontrati per la prima volta a una festa, Natasha e il marito. Anche lui aveva visto una foto di lei e aveva commentato: “Una bella ragazza, la voglio conoscere.”

Con orgoglio Natasha mi mostra il passaporto, la cui foto, in Russia, si cambia ogni morte di Papa: all’epoca era formosa, ma snella, portava i capelli ricci, corposi e non unti come adesso, in un batuffolo che le incorniciava il viso, il sorriso sembrava dischiudere perle sul viso liscio, pulito, sodo, con un unico mento.

Dopo la festa si uscì a passeggiare, Natasha e il suo cavaliere passarono insieme tutta la notte…

“Oh-oh!”

“No, no,” mi interrompe Natasha: “Cosa hai capito? Abbiamo solo passeggiato con gli amici. Poi lui mi ha salutato, me lo ricordo perché non mi è piaciuto.”

“Perché non ti è piaciuto?”

“Perché mi ha baciata sulla guancia.”

“Embè?”

“Ero una bella donna. Doveva baciarmi sulla bocca.”

Il terzo parametro di Natasha era che, dopo il sesso, mentre lei prendeva sonno, l’uomo doveva allungarle addosso la coperta. “Se ti copre, significa che ha cura di te e che per te farà qualsiasi cosa.”

Un giorno non molto dopo la festa, questo ragazzo allungò la coperta sulle spalle di Natasha e lei prese la sua decisione.

Come prese lui la sua? Pare che Natasha a letto fosse una bomba, perché il marito un giorno le disse: “Io ti ho chiesto di diventare mia moglie solo per come mi scopavi.”

“Uah, Natasha, e che gli facevi?”

“Eh… Una volta in autobus, con la folla…”

“Come si fa a fare sesso in un autobus affollato?”

“Si fa, si fa. Dovevo dimostrargli che io ero disposta a tutto.”

Natasha non aveva un fidanzato alla volta, comunque. Nel periodo in cui scelse suo marito, aveva tre relazioni contemporaneamente.

“Facevi sesso con tutti e tre?”

“Certo. Tu ti fai troppi problemi. Che te ne frega? Uno la mattina… ok. E se poi arriva un altro la sera, cosa fai? La preziosa? Lo devi testare, devi provare. Se è arrivato il momento, è arrivato il momento. Certo, pure io sono stata educata ortodossa, ma che me ne frega… Mi dovevo trovare il marito come dico io.”

“Sei felice, Natasha?” le domando, dopo aver sentito troppe storie di gente che “dopo qualche anno la passione svanisce”.

“Certo,” mi risponde, “perché mi sono presa esattamente quello che volevo. Avevo un piano io, già a sedici anni. Ho frequentato uomini diversi contemporaneamente e così a vent’anni mi sono trovata con un vasto assortimento“.

“Ho capito, sì, ma la passione? Insomma, tu ci hai fatto sesso in un autobus affollato, perché ti infastidisce che lui ti desideri ancora?”

“Ma adesso siamo grandi, ci sono i bambini…”

“Capisco se i bambini non avessero ancora cominciato la scuola, probabilmente non avreste nemmeno la forza di fare sesso… Ma i tuoi figli stanno per andare all’università!”

“Sì, ma ormai abbiamo dato…”

“Ma come? Avete dato? E quindi adesso che avete una casa a disposizione non potete farlo sul divano, sul tavolo, sulla lavatrice, nella vasca da bagno, nel disimpegno…?”

Natasha mi sorride incredula.

“Natasha, i miei genitori hanno sessant’anni e si fanno le coccole sul divano!”

“Ma nella nostra cultura la maggior parte delle persone crede che queste siano cose da giovani… Dopo che hai fatto i figli che senso ha? A cinquant’anni, mettere la mano sul culo, baciarsi per strada… Non ho mai visto nessuno.”

“Nemmeno io. Ma non voglio invecchiare così.”

Natasha mi capisce solo in parte. In fondo, io sono italiana. Dopo avermi dato delle dritte su come fornirmi anch’io di un vasto assortimento, esibendomi in performance sessuali circensi con partner multipli in giro per la megalopoli, mi rassicura:

“Il problema tuo più grande è che sei italiana.”

“In che senso? Nel senso che non piaccio tanto per quello che sono, ma perché vogliono mettere la bandierina?”

“Sì. Tu rappresenti un ideale, come nel racconto di Zoščenko…

Ho cercato per giorni di capire di che racconto stesse parlando. Parlava di un aneddoto del 1925, che si intitola Суконное Рыло: “Muso di cagna”… Forse, se ho capito bene, si potrebbe tradurre come “faccia di cazzo”. Due uomini si trovano a parlare in un parco e l’uno prega l’altro di non fumare certa immondizia, e gli offre una sigaretta delle sue che, a suo dire, gli sono state portate dallo zio emigrato in Inghilterra. Comincia così una discussione appassionata su come si facciano meglio le cose all’estero, sui conigli australiani surgelati che solo a morderli si sentono “la cultura e la civilizzazione”, sul fumo della sigaretta che ha perfino un colore più bello, per non parlare della scatoletta… L’hai mai vista tu una scatoletta fatta così bene, così modesta, senza niente di superfluo? L’altro se la gira tra le mani, trova stampato piccolissimo il nome di una tipografia sovietica. Gli dice: “Guarda, qui c’è scritto qualcosa,” e in quel preciso istante il proprietario delle sigarette comincia a sentirsi male, a incolpare le sigarette nazionali del suo mal di testa e a lamentarsi che in Russia si è ben lontani dalla qualità di produzione straniera.

E così prendono senso le parole di Natasha: “Tu non vieni vista solo come una donna, tu sei una conquista. Non c’entrano i sentimenti… Sei una bella ragazza, e sei italiana. A loro sembra che ci siano i sentimenti… in realtà è solo che hanno sete di cose esotiche.”

“Oddio, Natasha, ma in Italia è uguale. Se ritorno a casa, io non sono più solo italiana, sono un’italiana che ha vissuto a lungo in diversi paesi e in particolare in Russia, quindi sono esotica anche in Italia…”

“Sì. Tu hai un doppio problema. Sei proprio come la scatoletta…”

Il corso di italiano è finito. Ci salutiamo. Natasha mi stritola in un abbraccio, mi augura buona fortuna.

Forse mi sforzerò di capire cosa cerco esattamente in un uomo, ammesso che io stia cercando un uomo.

Il sesso in un autobus affollato, per quanto sia fantasiosa, forse supera troppo la soglia delle mie inibizioni e della mia immaginazione.

E quanto alla scatoletta… in fondo, alla fine della storia, si scopre che era sovietica, e che quindi faceva cagare. Nel mio caso, come si applicherebbe quest’allegoria?