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parkland

“Ma dov’è il tuo caffè?” mi chiede Carolyne cercando con lo sguardo le mie mani. Io le ho ficcate in tasca per ripararle dal vento gelido, sono l’unica del gruppetto di mamme che esce da Starbucks senza tenere in mano un beverone bollente di caffè ignobile, con il braccio messo a “L”.
“Ho preso un espresso, lo butti giù e ti liberi subito!”, mi giustifico.
Starbucks è la prima tappa del nostro “National School Walkout”.

È stato indetto in tutti gli Stati Uniti dai sopravvissuti alla sparatoria nella scuola di Parkland, Florida, dove un mese fa un ex studente ha ucciso a fucilate diciassette persone fra ragazzi e insegnanti.

Le raffiche, quelle di vento, ci sferzano la faccia, ma noi genitori ci allineiamo lungo la strada a largo scorrimento che costeggia le scuole della nostra cittadina. Quando comincia il “walkout”, sono le dieci.
Deve durare diciassette minuti, uno per ogni vittima.
Con la mano che non tiene il beverone, qualcuno brandisce dei cuori di carta colorati.

Nessuno parla del fatto che la polizia stia indagando su nuove minacce alla nostra scuola, quella alle nostre spalle, dove sappiamo che i nostri figli sono radunati al campo sportivo, che non dà sulla strada, per commemorare le vittime.

D’altronde, perché parlare fra di noi dei messaggi di odio, sono cose che succedono in questo “new normal”.

Per tenere al sicuro i ragazzi e bloccare gli ingressi alla scuola sono stati messi di traverso alcuni bus scolastici (sì, proprio quelli gialli e neri che si vedono nei film) e le macchine della polizia.

Mentre siamo qui, gli studenti di tutta la East Coast stanno uscendo da scuola per fare la stessa cosa.
È una ola di ragazzini che si sposterà nel corso della mattinata dall’Atlantico al Pacifico, seguendo il fuso orario.
A pochi chilometri da noi, in centro, a migliaia stanno marciando sui luoghi di House of Cards, pardon, sulla Casa Bianca e sul Parlamento, quello che dovrebbe fare una legge per proteggere i ragazzi, ma invece non la fa.
Sarà colpa dei coniugi Underwood?

Eppure è dal giorno della strage di Parkland che il tema del “gun control” domina la scena.

Ogni giorno succede qualcosa, impossibile distrarsi.
Ben Stiller dichiara il suo appoggio alla lotta.
Fioccano i finanziamenti alla manifestazione nazionale del 24 marzo a Washington, la “marcia per le nostre vite”.
Sempre meno aziende fanno sconti ai membri della NRA, la National Rifle Association, che riunisce i produttori e i proprietari di armi.
I repubblicani in Georgia passano una legge punitiva contro la Delta Airlines, colpevole di aver boicottato la lobby delle armi.
Il numero uno della catena di supermercati “Dick’s” (il nome, Dick, vuol dire anche “cazzo”, fate un po’ voi) annuncia di aver smesso di vendere il fucile d’assalto AR-15, quello usato a Parkland e a Las Vegas (59 morti).
E la NRA, che da sempre finanzia i politici a suon di dollaroni, ha un canale televisivo tutto suo e una portavoce che fa più paura della De Filippi, schiuma di rabbia.

Il 14 marzo, all’ora del “walkout”, mentre si leggevano i nomi dei morti bambini in centinaia di scuole pubbliche americane, la NRA ha postato dal suo account Twitter una foto del fucile AR-15 con una didascalia: “Il mio fucile lo controllo io, grazie”.
Roba che in confronto Crono, il dio greco che si mangia tutti i figli, sembra un adorabile birichino.

È un intero mese che si dibatte su come limitare, almeno in parte, l’acquisto di armi, di come introdurre dei controlli su chi le compra, di come alzare l’età minima per l’acquisto di un fucile, di come utilizzare meglio i database federali per prevenire che persone con problemi psichiatrici o precedenti penali possano avere accesso ad armi da fuoco.

Il Presidente ha lanciato l’idea di armare alcuni insegnanti, per garantire la sicurezza degli studenti (WTF?) e lo hanno pure preso sul serio!

Proprio in Florida, uno degli Stati con le leggi più permissive in fatto di armi, dov’è avvenuta la strage di San Valentino e dove gli studenti e i genitori di Parkland hanno fatto tali pressioni sul parlamento locale, andando a manifestare, conquistando i social network e le tv, che alla fine una legge che mettesse qualche paletto è passata.

È stata alzata a 21 anni l’età minima per comprare un’arma da fuoco, sono stati vietati i “bump stocks”, degli aggeggi che in pratica trasformano in una mitragliatrice un fucile.
Tutte cose, parliamoci chiaro, che a noi stranieri sembrano totalmente insensate o inutili, visto che l’unica cosa da fare se ci sono troppe armi in giro è proprio eliminarle. O no?
E invece è bastata questa piccola, limitata legge a provocare la rottura della NRA col partito Repubblicano locale, al punto che l’associazione ha fatto causa allo Stato.

La NRA non si è placata neanche con l’introduzione della norma che dispone di armare gli insegnanti. (WTF?)

Ma lo sapete che ieri in una scuola di Monterey, California, mentre stava insegnando durante l’ora di “sicurezza” al docente è partito un colpo di pistola che ha ferito accidentalmente uno studente?
Ma cos’è, una comica di Stanlio e Ollio?
No, amiche, state buone.
Bisogna ascoltare, fare finta che non sia cosí assurdo.
Bisogna cercare di capire.
Io, poi, sono pure straniera, e soprattutto vengo da un paese in cui la Lega Nord ha appena vinto le elezioni al grido di “a morte gli immigrati” e riesumando la salma di uno che si faceva chiamare “Papi” dalle minorenni. Insomma, via, ognuno ha i suoi momenti WTF?
E allora bisogna pure sforzarsi di comprendere.
Sono piena di buone intenzioni.

Qui sulla strada siamo una catena umana, anche se non possiamo tenerci per mano per via dei beveroni bollenti che tutti stringono nella mano destra e dei cuori colorati nella sinistra.
Fioccano selfie.
Contiamo i minuti, fa freddo.
Le macchine che sfrecciano sulla strada strombazzano per fare il tifo.
Noi ricambiamo salutando con la mano (quella con il cuore, non quella con il beverone), con sorrisi e gridolini, un ritorno all’adolescenza, forse all’infanzia.
Ah già, l’infanzia.
Alla scuola elementare della mia piccola città un gruppetto di bambini ha presentato al direttore una petizione in cui chiedevano di poter partecipare anche loro al “walkout” del 14 marzo per commemorare le vittime della strage nella scuola di Parkland e prendere posizione sulla questione.

 Fra l’altalena e il campo di calcio una cinquantina di bambini dagli otto ai dieci anni sono stati fermi, in piedi, al freddo, per diciassette minuti: li ho visti in foto su Twitter.

 

 

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