Per andare da Shangai a Pu Mei, allegro villaggio dello Hunan, si può viaggiare 3 ore con un comodo volo,7 ore con un comodissimo treno o 14 ore su un autobus del 1935. Essendo Chan Li un’emancipata giovane donna del XXI° secolo, lontana mille miglia dallo spirito di sacrifico delle nostre nonne… l’ho appena lasciata alla stazione degli autobus.

A Pu Mei c’è il Museo del Nu Shu, che mia nonna – usando una bella similitudine con il bambù- definirebbe in modo intraducibile in italiano ma molto, molto vicino al termine “cazzata”.
Oggi molte Chan Li vogliono imparare questa “misteriosa” lingua.
Nonna Mei me l’ha insegnata mentre mi mostrava come cucinare il dong’an.

Non sarò madrelingua ma è certo che il mio nu shu non è quello che “vendono” a Pu Mei: solo nonna ti insegna le esatte bestemmie da grugnire quando ti bruci friggendo il pollo dong’an. Più che madrelingua, sono nonna lingua.

Nessun Paese ha mai avuto una lingua così. La Cina è il Paese dei primati: la più grande potenza economica, la più grande popolazione, il più lungo caso di schiavitù della Storia. Una storia divertentissima, strano non ci abbiano fatto un film.

Una storia dei bei tempi, di quando ancora in Cina non si copiava ma si inventava. Ma è tutto vero: per secoli, i cinesi hanno schiavizzato le proprie mogli. Ma non per dire, eh? Schiave davvero! Applausi.

Dai, non siate invidiose: non è merito nostro, qualcuna ne avrebbe fatto addirittura a meno. È solo grazie a genio e tenacia dei nostri uomini, se abbiamo raggiunto la perfezione in questo campo. Ci vendevano da bambine. Ci rompevano i piedi, così restavano piccoli (e soprattutto glielo faceva diventare duro e ci impediva di fuggire). Ci tenevano in casa. Ci facevano lavorare…bè, sempre. Violentate quando volevano. Analfabete. Insomma, nate per essere fùjiàn: accessori. Da morire dalle risate. Se eri un uomo.
Per noi era… niente. Non era vita. Non era morte. Era essere mogli. Era schiavitù. Era soprattutto il silenzio. Non poter parlare, nemmeno con le altre vittime. Chi si lamentava… ok, meglio se non lo sapete. Ma, un giorno, a qualcuna venne in mente di prendere la vecchia lingua Yao (che nessuno più conosceva) e usarla. Usarla tra di noi. Solo, tra di noi. Accadeva 500 anni fa. Parlavamo quella lingua mentre tessevamo o cucivamo e ai maschi non fregava nulla.

E, piano piano, divenne il nu shu. La lingua delle donne. L’unica lingua ‘di genere’ al mondo. Per mezzo millennio, l’abbiamo usata con le sorelle di prigionia. “Chi parla Nu Shu è una sorella” mi diceva nonna Mei, “puoi litigarci, chiederle in prestito i vestiti, o prenderli senza dirglielo, e aiutarla a nascondere i suoi segreti”.

Negli anni ’50 i servizi segreti pensarono fosse un codice segreto per lo spionaggio internazionale e cercarono in tutti i modi di decifrarlo. Furono interpellati famosi linguisti, intellettuali importanti e studiosi esperti, ma a nessuno venne in mente di interpellare una donna. Quindi i più intelligenti uomini cinesi non riuscirono a decifrare una lingua sviluppata da donne analfabete centinaia di anni prima!!

All’inizio la nonna non voleva portarmi agli incontri di Nu Shu, credeva fossi ancora piccola per certe cose. Poi vide le foto che ci scambiavamo in chat con le mie compagne di classe: il giorno dopo fu il mio primo incontro.
Per la nonna questi incontri erano la cosa più importante della sua vita. Si metteva il vestito più bello, si truccava e si raccoglieva i capelli con delle forcine ricoperte di pietre colorate. Il nonno la prendeva in giro, diceva che non aveva senso conciarsi così per andare a preparare il tè con le amiche. Nonna Mei, sorridendo gli rispondeva (in Nu Shu) “fottiti vecchio rimbambito” ed usciva.

Non è una lingua difficile. La signora Lin, una delle amiche di nonna, la usava per raccontare al marito di come si facesse farcire come un pollo dong’an da un bel ragazzo della provincia del Guangdong. Il marito rideva, pensando che parlasse nel suo dialetto per farlo divertire. Poveraccio, che riposi in pace.

Oggi abbiamo più parità e segreti diversi.
Ad esempio, io e Chan Li non vogliamo sposarci. E soprattutto diventare Le Supergirls dello yogurt della mucca mongola (non so se lo vedete in Italia… è uno show tv bellissimo).
A Chan Li piace molto un ragazzo che ha conosciuto in un locale karaoke. È un patito di videogames e si ammazza di messaggi su QQ, insomma un caso disperato. Ma a lei piace così tanto che sta provando a creare un videogame e chiamarlo “Abbatti la Grande Muraglia”, così lui coglierà il messaggio in codice.

Io le ricordo che trovare un uomo che capisca un messaggio in codice è facile quanto trovare una tigre in una sauna, e quasi altrettanto pericoloso.
Allora Chan Li concorda che non è l’uomo giusto.
Ma, dopo 10 minuti, si ricorda che è del segno del Dragone e quindi perfetto per lei che è del Cavallo…
Fortuna che poi tiriamo fuori da sotto al letto la bottiglia di baijuu e, la mattina dopo, non ci ricordiamo nemmeno i nostri nomi, figuriamoci di uno scemo fissato coi videogames.

Chissà se Chan Li tornata da Pu Mei racconterà al suo ragazzo cos’ha imparato, forse si vanterà anche lei, come molte altre ragazze, di sapere il Nu Shu sperando di fare colpo…

Ma oggi come allora, agli uomini non gliene importa un bel niente di Nu Shu, dei segreti delle donne e di cosa smuove il nostro cuore.
Ed è proprio per questo che possiamo star tranquille.
Quando il Nu Shu sarà interamente decifrato allora potremo pensare che la parità sarà stata raggiunta. Ma fino ad allora l’uomo continuerà ad essere inferiore alla donna.[:]