Correva l’anno 2018, era luglio ed io ero in ufficio a fare le solite cose, sciogliendomi dal caldo perché ancora non avevamo cambiato il condizionatore.

Entrò il mio titolare e mi spiegò che la fattura all’azienda Taldeitali andava fatta in formato elettronico.

Quando lavori in un’azienda per più di qualche settimana, ti si sviluppa un sesto senso che ti avverte in anticipo se ci sono rogne in arrivo. L’aria che respiri si fa improvvisamente pesante senza motivo e gli spiriti dei tuoi antenati sussurrano al tuo orecchio che forse (ma forse!) stai per passare un brutto quarto d’ora. Ecco, io lavoro in quell’azienda da quattro anni, motivo per cui certe rogne non si fanno più annunciare da quel vago senso di inquietudine. No, le rogne entrano nel tuo ufficio con un’insegna a LED, strillando “BRI-GI-TTE-BARDOT-BARDOT!” e ballando la samba con delle ballerine brasiliane.

In quel momento capii che la mia vita era finita.

Entrai nel sito dell’Agenzia delle Entrate che avevo trent’anni, feci il logout che stavo ritirando la pensione. Mi ero persa il mio matrimonio, la mia gravidanza, i primi passi di mio figlio, la sua laurea e il suo matrimonio, oltre ad uno stuolo di nipotini.

D’altra parte, il sito dell’Agenzia delle Entrate è famoso per essere intuitivo e snello. Più o meno come il labirinto di Cnosso quando sei ubriaco con una bussola sbronza e al posto del filo di Arianna hai usato il metodo delle briciole di Hansel e Gretel durante un’infestazione di topi.

Ma, finalmente, ce la feci. Scaricai il file XML, che tutte le segretarie ormai conoscono e odiano (non fate le furbe, che vi vedo!) e lo spedii all’azienda in questione.

Un sospiro di sollievo. Finalmente era fatta! Era la prima volta che facevo una fattura elettronica, e l’avevo fatto senza chiamare quella figura mitologica e terribile che è il COMMERCIALISTA, implorando la sua clemenza per ottenere un minimo di aiuto in più.

Neanche avevo finito di buttare fuori l’ultimo rantolo di aria del sospiro di sollievo, che mi chiamò la mia compagna di sventure dell’azienda a cui avevo spedito la fattura elettronica. Avevo sbagliato a scrivere il testo della fattura. E il file in ogni caso non risultava valido.

Io: “Oh. Mi spiace! Ma cosa vuol dire che il file non è valido?”

Compagna di sventura: “Che il sistema non lo accetta!”

Io: “E quindi? Che devo fare?”

Compagna di sventura un po’ stronza: “Ah, non lo chieda a me, non è certo una cosa di mia competenza!”

A quel punto potevo sentire gli spiriti dei miei antenati rifilarmi un bel “te l’avevamo detto!”.

Seguì un delirio di telefonate al commercialista, telefonate alla signora della contabilità, telefonate all’Agenzia delle Entrate, invocazioni all’Altissimo. La risposta fu, sostanzialmente, “arrangiati!” da tutte le parti. Quell’“arrangiati” che in realtà vuole dire “mandiamo avanti l’agnello sacrificale che magari impariamo qualcosa anche noi”.

Scoprii che all’Agenzia delle Entrate sono persone molto dolci e magnanime, lente all’ira, ricche di grazia, più o meno come il mio bisnonno che una volta aveva staccato l’orecchio di un maiale a morsi. Scoprii anche, in quel caso, che il sangue non è acqua: se avessi avuto davanti l’impiegato dell’Agenzia che al telefono mi stava ridendo dietro dopo avermi tenuta in attesa la bellezza di mezz’ora, contata secondo per secondo, avrei usato la stessa punizione del mio bisnonno. Mi venne detto che non potevo annullare la fattura, ma dovevo fare una nota di accredito per poi rifarla.

Rifeci la stessa fattura infinite volte, fino a guardare in faccia il mio commercialista e prostrarmi per farmi dare un sia pur modesto aiuto. Che mi arrivò dalla sua segretaria, la quale mi passò le informazioni sottobanco, come uno spacciatore a Piazza Vittorio.

Alla fine, insomma, riuscii ad emettere tutte le fatture e le note di accredito.

Ero sfinita, allo stremo delle forze. Potevo ringraziare di essere sopravvissuta a quelle fatture elettroniche unicamente perché il mio fisico era ancora giovane e, quindi, poteva resistere a certe batoste. Certo, i segni di quella battaglia li portavo ancora: il mio viso, che era sempre stato liscio e fresco, era colmo di rughe. I miei capelli avevano urgente bisogno di una tinta. Avevo l’artrosi alle mani a furia di trattenere i pugni contro il mio innocentissimo PC. Non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se avessi avuto anche solo un anno in più. Forse non sarei qui a raccontarvelo.

Ma ce la feci. Posso dire di essere sopravvissuta.

Finché entrò il titolare che, con l’aria più sorniona del mondo, mi disse:

“lo sai che dal prossimo anno tutte le fatture saranno elettroniche, vero?”

E fu così che il mio compagno mise in sicurezza tutti gli spigoli della casa!