Ieri c’è stato il mio primo, personale, ritorno alla normalità dopo questo lockdown. Sono uscita a pranzo fuori con una mia amica.

Sono andata nel posto in cui avevo fatto l’ultimo pranzo prima della chiusura totale e globale. Quel posto dove vado a fare la colazione, gli aperitivi, dove spesso vado a pranzare con le amiche, dove organizzo i brunch e le birrette al volo. E’ quel posto in cui, quando entro, so che i miei bambini non creeranno problemi, dove non devo neanche ordinare cosa prendere perchè chi è dietro al bancone già lo sa. Quel posto che di fatto è il prolungamento della mia casa.

Oggi, dopo settimane e mesi interminabili, mi sono vestita, truccata, ho messo la mascherina carina quella in pendant con le scarpe rosse e sono andata.

 

Ho capito che il primo pranzo fuori dopo l’isolamento a cui siamo stati obbligati, è un po’ come un primo appuntamento.

Indimenticabile.

L’ultimo pranzo non sapevo sarebbe stato l’ultimo e quindi, forse, non me lo sono goduto come avrei dovuto. Quello di oggi invece sì, non era un pranzo, era il mio personale ritorno alla vita.

Arrivata lì, lo sapevo, ho iniziato a piangere. Avevo il mio tavolo fuori, loro c’erano tutti, la mia amica era bellissima con delle scarpe da urlo e io con delle paperine rosse che mannaggia a me perchè non ho messo le altre col tacco. Avevo i fiori. Era tutto essattamente come lo ricordavo. Ma diverso. Non ho potuto abbracciare nessuno, per andare in bagno metti la mascherina, togli la mascherina, aspetta che l’altro si sia messo la mascherina. Mi sentivo quasi in Karate Kid, metti la cera, togli la cera.

Ho ordinato due moscow mule e un’insalata, che sgrassa e poi nel moscow mule ci sono lo zenzero e il cetriolo che fanno tanto bene (va bè, c’è pure la vodka ma questa è un’altra questione). Ero felice.

Poi ho guardato la mia amica e abbiamo capito tutte e due. Non eravamo felici di vederci, non eravamo felici per il moscow mule (per i moscow mule), no, eravamo felici per una cosa molto più semplice.

Dopo quasi tre mesi questo è stato il primo pasto senza bambini.

Senza mi fai assaggiare.

Senza “stai seduto!”.

Senza “i cartoni quando si mangia no. E va bene, per oggi sì, ma domani no”.

Senza “ma io voglio la pasta al sugo senza il sugo”.

Senza.

Eravamo noi. Ed è stato bellissimo.