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Quando perdi a canasta con una brava, dici “vabbè”, è brava…
Se ti soffia il posto una tri-laureata con 20 anni di esperienza, dici “vabbè” e t’impegni di più.
Se Emily Ratajkowski ti squadra con sufficienza la cellulite, dici “vabbè” e ti metti i jeans.
Ma se perdi con una deficiente, il posto lo danno a un mignottone e le cosce te le critica tua zia di 60 anni, allora ti incazzi.

Perché mia mamma mi ha insegnato che non si critica mai.

Ma, se proprio devi, lo fai se sei CERTA di essere superiore a chi stai criticando.

Donald Trump.
45° Presidente degli Stati Uniti.
Donald.
Trump.
Che bizzarro cognome… Suona come ‘tromba’ o qualcosa di simile, vero?

Fammi aprire Wikipedia e vediamo da dove deriva… Trump… Trump…

Friedrich Trump (o Drumpf). Nato nel 1869, nel Palatinato, Germania.
All’epoca, regno di Baviera.
 
Regione un po’ depressa. Ma il giovane Friedrich ha voglia di lavorare quindi va imparare un mestiere: il barbiere.
Nel frattempo, il Regno di Baviera entra a far parte dell’Impero Germanico.
E il giovane Friedrich sa che, tra poco, il Kaiser gli manderà un invito ad entrare (obbligatoriamente) nel suo glorioso esercito. E cosa fa un coraggioso ragazzo tedesco quando sta per entrare a far parte del glorioso esercito del Kaiser?
Grida: “Suka!” (esclamazione bavarese della quale non conosco il significato).
E si imbarca a Brema per l’America.

Qualcuno ha detto “scappa via a gambe levate”? Bè, non certo io.

Friedrich Trump arriva a NY e diventa all’istante Frederick Trump.
Esercita per un po’ l’onesta professione del barbiere ma senza grandi prospettive. Così, coi soldi della sua assicurazione sulla vita, si trasferisce a Seattle e apre un locale nel quartiere a luci rosse, il Dairy Restaurant.
Cibo, liquori e “Room for Ladies”, insomma, puttane.
 
La formula funziona, tanto che Fred (messo da parte qualche soldo) la esporta anche a Monte Cristo, dove è stato scoperto l’oro.
E poi in Yukon, dove apre l’Arctic Restaurant & Hotel: stravagante luogo dove i cercatori potevano trovare frutta fresca (e room for ladies).
 
Il nostro bel renitente alla leva, fatto un bel gruzzolo, prova a tornare trullo trullo in Germania ma, ops!, gli viene recapitata una lettera.
“Al cittadino americano Friedrich Trump va comunicato che dovrà lasciare il territorio bavarese al più tardi entro il primo maggio di quest’anno, altrimenti dovrà aspettarsi la sua espulsione”, si legge in questa lettera, inviata dalle autorità di Dürkheim all’ufficio del sindaco di Kallstadt (paese natale di Trump).
Espulso dal suo Paese natale, che cosa terribile… fortuna che c’è l’America.
E così, auf Wiedersehen, Bayern!
 
 
 

Frederick torna a NY. Si sposa con una vicina che gli dà 3 figli: Fred, Elizabeth e John. Continua a fare il barbiere e acquista anche un terreno e uno stabile a Jamaica Avenue, dandone in affitto alcune camere.

E avrebbe anche continuato a vendere e comprare terreni ma, sai com’è, Frederick, c’è la Prima Guerra Mondiale. E, alla fine, sei sempre un immigrato tedesco. Non è che in giro ti vedano proprio di buon’occhio. Chissà, magari avrà anche protestato, Frederick, con quei fottuti yankees che non sembravano adesso così accoglienti…
Frederick se ne sta buonino, finché nel 1918 ha la brillante idea di morire di influenza. Capita, con ‘sti immigrati.
Nemmeno l’influenza era americana: era spagnola, figuriamoci!
 
Ma buon sangue non mente e il nome nemmeno: e ben presto Fred Trump (primogenito dell’immigrato tedesco) si affaccia al mondo dell’immobiliare.
Durante gli anni 20, riempie Queens di casette a basso prezzo (oltre a farsi arrestare durante una manifestazione del KKK ma sciocchezze, nulla di grave). Negli anni 30, dà il suo contributo all’idea di “supermercato”. E poi fà come fanno tutti gli immigrati di seconda generazione: specula, si arricchisce, dice ad amici e parenti (e fino a qualche decennio dopo la Seconda Guerra) che la sua famiglia non era tedesca ma svedese (che fa più fine). E si sposa.
 
Non con un’americana, eh?
Con un’immigrata proveniente dalle Isole Ebridi, ultima di dieci figli, che aveva come prima lingua il gaelico e come seconda l’inglese: Mary Ann McLeod.
Ma l’America se ne frega.
L’America ti accoglie e, se lavori duro, diventa la tua casa.
Così Fred (figlio di un immigrato bavarese) e Mary Ann (immigrata dalle Ebridi) lavorano duro.
L’azienda di famiglia costruisce qualcosa come 27mila alloggi in tutta New York.
La coppia ha 5 figli, di cui il penultimo è Donald Trump.
 
 
 
Donald Trump.
Nipote di un immigrato bavarese, sfuggito alla leva.
Figlio di una immigrata delle Isole Ebridi, sfuggita alla fame.
Ex-marito di Ivana Zelníčková, cecoslovacca sfuggita al regime grazie al primo matrimonio del ’71.
Marito di Melania Knauss, sfuggita alla ex-Yugoslavia grazie alla bellezza.
Erede di una famiglia che è americana da soli 125 anni.
Un Presidente che rompe le palle ai Messicani, gente che è lì da almeno 400 anni (per non dire 3.200).
Un uomo, forse, dovrebbe usare maggior riguardo.

Perché quello che adesso lui chiama “sporco immigrato”, tra 125 anni i suoi figli potrebbero chiamarlo “Signor Presidente”.

 
 

 

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Quando perdi a canasta con una brava, dici “vabbè”, è brava…
Se ti soffia il posto una tri-laureata con 20 anni di esperienza, dici “vabbè” e t’impegni di più.
Se Emily Ratajkowski ti squadra con sufficienza la cellulite, dici “vabbè” e ti metti i jeans.
Ma se perdi con una deficiente, il posto lo danno a un mignottone e le cosce te le critica tua zia di 60 anni, allora ti incazzi.

Perché mia mamma mi ha insegnato che non si critica mai.

Ma, se proprio devi, lo fai se sei CERTA di essere superiore a chi stai criticando.

***

Donald Trump.
45° Presidente degli Stati Uniti.
Donald.
Trump.
Che bizzarro cognome… Suona come ‘tromba’ o qualcosa di simile, vero?

Fammi aprire Wikipedia e vediamo da dove deriva… Trump… Trump…

Friedrich Trump (o Drumpf). Nato nel 1869, nel Palatinato, Germania.
All’epoca, regno di Baviera.
 
Regione un po’ depressa. Ma il giovane Friedrich ha voglia di lavorare quindi va imparare un mestiere: il barbiere.
Nel frattempo, il Regno di Baviera entra a far parte dell’Impero Germanico.
E il giovane Friedrich sa che, tra poco, il Kaiser gli manderà un invito ad entrare (obbligatoriamente) nel suo glorioso esercito. E cosa fa un coraggioso ragazzo tedesco quando sta per entrare a far parte del glorioso esercito del Kaiser?
Grida: “Suka!” (esclamazione bavarese della quale non conosco il significato).
E si imbarca a Brema per l’America.

Qualcuno ha detto “scappa via a gambe levate”? Bè, non certo io.

Friedrich Trump arriva a NY e diventa all’istante Frederick Trump.
Esercita per un po’ l’onesta professione del barbiere ma senza grandi prospettive. Così, coi soldi della sua assicurazione sulla vita, si trasferisce a Seattle e apre un locale nel quartiere a luci rosse, il Dairy Restaurant.
Cibo, liquori e “Room for Ladies”, insomma, puttane.
 
La formula funziona, tanto che Fred (messo da parte qualche soldo) la esporta anche a Monte Cristo, dove è stato scoperto l’oro.
E poi in Yukon, dove apre l’Arctic Restaurant & Hotel: stravagante luogo dove i cercatori potevano trovare frutta fresca (e room for ladies).
 
Il nostro bel renitente alla leva, fatto un bel gruzzolo, prova a tornare trullo trullo in Germania ma, ops!, gli viene recapitata una lettera.
“Al cittadino americano Friedrich Trump va comunicato che dovrà lasciare il territorio bavarese al più tardi entro il primo maggio di quest’anno, altrimenti dovrà aspettarsi la sua espulsione”, si legge in questa lettera, inviata dalle autorità di Dürkheim all’ufficio del sindaco di Kallstadt (paese natale di Trump).
Espulso dal suo Paese natale, che cosa terribile… fortuna che c’è l’America.
E così, auf Wiedersehen, Bayern!
 
 
 

Frederick torna a NY. Si sposa con una vicina che gli dà 3 figli: Fred, Elizabeth e John. Continua a fare il barbiere e acquista anche un terreno e uno stabile a Jamaica Avenue, dandone in affitto alcune camere.

E avrebbe anche continuato a vendere e comprare terreni ma, sai com’è, Frederick, c’è la Prima Guerra Mondiale.
E, alla fine, sei sempre un immigrato tedesco.
Non è che in giro ti vedano proprio di buon’occhio.
Chissà, magari avrà anche protestato, Frederick, con quei fottuti yankees che non sembravano adesso così accoglienti…
Frederick se ne sta buonino, finché nel 1918 ha la brillante idea di morire di influenza.
Capita, con ‘sti immigrati.
Che poi manco l’influenza era americana: era spagnola, figuriamoci!
 
Ma buon sangue non mente e il nome nemmeno: e ben presto Fred Trump (primogenito dell’immigrato tedesco) si affaccia al mondo dell’immobiliare.
Durante gli anni 20, riempie Queens di casette a basso prezzo (oltre a farsi arrestare durante una manifestazione del KKK ma sciocchezze, nulla di grave). Negli anni 30, dà il suo contributo all’idea di “supermercato”.
E poi fà come fanno tutti gli immigrati di seconda generazione: specula, si arricchisce, dice ad amici e parenti (e fino a qualche decennio dopo la Seconda Guerra) che la sua famiglia non era tedesca ma svedese (che fa più fine).
E si sposa.
 
Non con un’americana, eh?
Con un’immigrata proveniente dalle Isole Ebridi, ultima di dieci figli, che aveva come prima lingua il gaelico e come seconda l’inglese: Mary Ann McLeod.
Ma l’America se ne frega.
L’America ti accoglie e, se lavori duro, diventa la tua casa.
Così Fred (figlio di un immigrato bavarese) e Mary Ann (immigrata dalle Ebridi) lavorano duro.
L’azienda di famiglia costruisce qualcosa come 27mila alloggi in tutta New York.
La coppia ha 5 figli, di cui il penultimo è Donald Trump.
 
 
 
Donald Trump.
Nipote di un immigrato bavarese, sfuggito alla leva.
Figlio di una immigrata delle Isole Ebridi, sfuggita alla fame.
Ex-marito di Ivana Zelníčková, cecoslovacca sfuggita al regime grazie al primo matrimonio del ’71.
Marito di Melania Knauss, sfuggita alla ex-Yugoslavia grazie alla bellezza.
Erede di una famiglia che è americana da soli 125 anni.
Un Presidente che rompe le palle ai Messicani, gente che è lì da almeno 400 anni (per non dire 3.200).
Un uomo, forse, dovrebbe usare maggior riguardo.

Perché quello che adesso lui chiama “sporco immigrato”, tra 125 anni i suoi figli potrebbero chiamarlo “Signor Presidente”.

Fonti: Wikipedia, Corriere della Sera, La Stampa

 
 

 

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