• Cara Roberta,
    Sì, hai passato un pomeriggio con i tuoi, con tua madre che ti ha detto nell’ordine:
    -guarda che peli sul mento (grazie per avermi ricordato delle tempeste ormonali)
    -guarda che occhi grandi (grazie per avermi ricordato che soffro di ipertiroidismo e i miei occhi ne sono la prima evidenza)
    -non starai ricominciando a mangiare troppo? (Grazie per avermi ricordato che, prima della dieta, mi portavo addosso diversi chili in più)
    Quindi è normale che in questo momento tu sia stressata, ti senta un po’ una merdina ambulante, che anche se il tuo compagno si vede che è innamorato di te, tua madre non ha perso occasione per ricordarti del peso del tuo ex marito, di tutto quello che ti ha fatto passare. Insomma, oggi pomeriggio hai dovuto fare uno sforzo immane per non rompere i gusci delle uova sui quali hai ripreso a camminare. Quindi ti concedo quel secondo di muso che hai messo. Vabbè dai, ti concedo anche le extrasistole che ti stanno tornando proprio adesso -credi che non le avverta? Ah, illusa! In fondo, sono io che scrivo a te, cioè me. –
    È che le mamme della nostra generazione, l’annata 1974, sono tutte uguali. Pensa alle mamme delle tue amiche. Pensa a quando vi confrontate, ancora, sulle cose che vi dicono. Perché poi lo sai che davanti a tutti vi lodano.
    Ti scrivo per dirti che è normale. Che, come hai potuto constatare, tu e le tue amiche siete pure cresciute bene. Non vi siete mai drogate, non facevate mai tardi, sempre gentili ed educate, con carriere brillanti e studi eccelsi alle spalle.
    E ti scrivo per dirti che capisco che ti sei fatta un culo così. Che dietro ci hai messo sofferenze indicibili, e mancata accettazione di te, e costante voglia di essere perfetta, e paura. Che poi la tua paura non era quella di fallire, quanto quella di avere successo. Come avresti potuto gestire le aspettative che sarebbero nate dai tuoi successi?
    Tu sei stata la giudice più severa con te. Ti davi costantemente due quando magari ne valevi sei. Ma diciamo anche otto. Tu ti sei nascosta, sperando di diventare invisibile, perché il tuo corpo era diverso rispetto a quelle degli ideali. Tu ce l’hai sempre fatta. E non era mai abbastanza. Ti è bastata una critica, che tanto lo sai che quelle ci sono sempre, per farti ritornare bambina, quando nascondevi le lacrime a scuola di danza perché la maestra non ti amava come amava le altre.
    Ti è bastato portare a casa un uomo che per te è importante e sentire tutti i pesi dei sensi di colpa del disastro del matrimonio con il tuo ex marito assalirti e soffocarti. Ti è bastato sentire che tua madre dicesse: “ho le coliche” per sentirti TU la causa del suo malessere.
    È che forse, magari, nessuno ti ha detto: non è responsabilità tua, rilassati.
    E quindi: non è responsabilità tua, rilassati.
    Non potrai cambiare lo stato delle cose, non è nel tuo potere. Rilassati.
    Non riuscirai a sentire un complimento da parte di tua madre, quindi rilassati, non lo aspettare. Perché sai che non accadrà e ogni volta ti illudi che sarà diverso, che ti vedrà raggiante e felice e sorridente e allegra, ma ci sarà sempre quell’aura di negatività intorno. Perché lei è così. Ma tu no.
    Roberta, ti chiedo scusa. Per quelle volte che tu non lo hai fatto. E questa lettera da me a te, cioè me, potrà fare poco, forse.
    Ma ti chiedo scusa, per quelle volte che non ti sei sentita abbastanza. Abbastanza bella, abbastanza intelligente, abbastanza magra, abbastanza speciale. Perché forse non lo hai mai notato, ma da sola, con le tue forze, hai fatto comunque un lavoro eccellente. E questo dovrebbe bastare.
    Tua,
    Roberta