[:it]Mi sono innamorata di Justin Trudeau.

Così, di colpo. Non mi succedeva dai tempi di Miguel Bosè con la sua “Credo in te” di restare folgorata da qualcuno o da qualcosa.

 

Ho detto Justin Trudeau.
Non è Justin Bieber, ragazze, non è una popstar e nemmeno un calciatore famoso.
Justin Trudeau è il Premier del Canada, il giovane, bello e -fino a ieri- assolutamente anonimo capo del governo della altrettanto giovane democrazia che sta a nord degli States.
Ieri, alla notizia del decreto con cui Donald Trump chiudeva di colpo le frontiere agli immigrati di otto Paesi arabi, senza fare alcuna distinzione tra clandestini, profughi e normali viaggiatori per lavoro, studio o diporto- Justin Trudeau ha postato su Facebook un messaggio di segno opposto:
“A coloro che fuggono dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra, i canadesi vi accoglieranno, indipendentemente dalla vostra fede. La diversità è la nostra forza. #WelcomeToCanada”.
E io mi sono innamorata di lui, perdutamente, istantaneamente.
Se lo avessi qui davanti, giuro, lo bacerei proprio.
Perchè ha dato innanzitutto al mondo una sferzata di ottimismo: guai a cedere alla paura della diversità, a credere che chiudendosi a riccio si possa progredire.
Poi mi ha folgorata per il modo divertito e leggero con cui è riuscito a dare a quel cafone tronfio di Donald Trump e al suo “You’re fired” rivolto a chiunque non sia dei suoi una risposta immediata, elegante ed energica, che segna con la biro rossa il confine tra politica e populismo.
Come disse il sociologo Karl Popper: “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti.
E io rivendico il diritto ad innamorarmi follemente di chi mi fa ancora credere, a disperto di tutto, in un minimo di umanità e solidarietà.

#JustinIloveyou[:]