Ho passato un intero pomeriggio al Pronto Soccorso. Penso che dovrebbe essere obbligatorio come tirocinio per qualsiasi studente di sociologia, antropologia, ufologia e soprattutto zoologia.

Dopo 6 ore di attesa anche la tipa che aveva fatto il suo ingresso a effetto stretta nella sua pelliccia è seduta sulla sedia con la stessa grazia di Claudia Gerini in “Viaggi di Nozze” e il suo prezioso furetto è diventato un Mocio Vileda che l’inserviente passa in sala per dimostrare che la sanità italiana funziona.

La dignità è uscita dalla stanza.

Tralasciando i casi seri, ecco alcune delle categorie che potrete incontrare se deciderete di fare un giro oltre la sala triage:

Il vecchio a cui hanno chiuso i cantieri. Cantieri chiusi, fuori fa freddo… che fare? Entrano chiedendo “Si paga qui?” e quando scoprono che dal verde in su possono farsi un giro gratis rispondono “Allora prendo il numero anch’io. Mia moglie ha il 464.” L’ho sentito con queste orecchie (e non era il motivo per cui mi trovavo lì) quindi credetemi: capita davvero che si confonda il pronto soccorso con la Lotteria Italia.

I rumoristi: danno colpi di tosse da cui riesci a percepire chiaramente la quantità di catarro e fare un’anamnesi istantanea anche se sei “Laureato presso te stesso” e rilasciano flatulenze che si pensano silenziose ma che in realtà se la giocano col rombo delle Frecce Tricolori. Al primo segnale, cedete il posto all’ultimo arrivato in sala. Ne uscirete benissimo, in tutti i sensi.

Gli attori hollywoodiani: per un’unghia incarnita si buttano a terra e giurano di avere dolori ovunque. Il loro obiettivo è saltare la coda e andare a cena all’ora giusta, che poi altrimenti non digeriscono e devono tornare al pronto per un altro consulto. Sono quelli che stanno così male che si fanno i selfie in sala d’attesa solo per scrivere su Facebook “E ci tocca anche questo” per scatenare il panico e creare hype tra i suoi fans. Gli unici FANS che si meritano sono i “farmaci anti-infiammatori non steroidei”. Dopo un bel calcio nel culo.

Le famiglie che l’Istat non traccia. Ovvero, quelle formate da 785 individui. Tutti presenti in contemporanea, giusto per spargere ansia e microbi tra coloro che già soffrono. Li riconoscete perché sono quelli seduti comodi a giocare col telefono e hanno l’aria solenne di chi è investito di grandi responsabilità, anche se nei fatti rompono solo i coglioni a tutti con la loro presenza. Familiari compresi.

Quelli strani. Quelli che hanno bisogno sul serio di medici e esami e per questo si recano al Pronto Soccorso. Stanno in silenziosa attesa, aspettando che qualcuno li liberi dal dolore che si portano dietro. Sono solidali tra loro e cordiali. Si fanno coraggio e sorrisi.

SONO GLI UNICI CHE PAGANO IL TICKET.

THE END.