Lavoro nel campo della pubblicità e ogni giorno vedo spot tv, post su Instagram, Facebook.

Sono sincera, in questo periodo sono davvero molto sconcertata. Questa corsa di quasi tutti i brand, grandi o piccoli, ad appropriarsi del territorio di comunicazione “coronavirus“, la trovo davvero desolante. Se vendi, che ne so, chewing gum (faccio un esempio lontano dai miei clienti, è il primo che mi viene in mente) magari a me può far piacere continuare a comprarti come ho sempre fatto, perché così mi fai venire male ai denti o me li renderai bianchissimi, ma almeno per un po’ distogli i miei pensieri dalla quarantena forzata.

SONO SINCERA, NON MI INTERESSA CHE TU MI RICORDI DI QUANTO SIA BELLO STARE IN QUARANTENA FORZATA E QUANTE COSE MERAVIGLIOSE SI POSSANO FARE, E NEPPURE CHE IMPROVVISAMENTE TU MI DIA CONSIGLI SU COSA FARE COME SE FOSSI IL MIO PSICHIATRA O IL MIO MEDICO DI BASE O IL PRIMARIO DELL’OSPEDALE SACCO.

Se vendi chewing gum, magari puoi donare parte dei tuoi profitti, stanziarli per l’emergenza, convertire la tua produzione ma per l’amor di Dio, continua a parlarmi di chewing gum, raccontami quanto possono essere grosse le bolle che si possono fare, quanto xilitolo c’è dentro un confetto, parlami di licheni svedesi e di denti bianchissimi.

La mia vita è fatta anche di quello. E magari ho 27 parenti ricoverati in ospedale, ma in alcuni momenti HO VOGLIA DI CHEWING GUM CAZZO.

Secondo questo folle ragionamento, quando siamo fuori dal momento di emergenza sanitaria, gli ospedali dovrebbero promuovere il momento aperitivo con pubblicità con medici, infermieri e OSS come testimonial.

Ma non mi ricordo di avere mai visto degli happy hour in corsia.

OGNUNO FACCIA IL SUO, ché c’è bisogno di medici, virologi, esperti ma anche di leggerezza e normalità.

E c’è bisogno di chewing gum.

FINE.