Sanremo è una cittadina che mette insieme anime contrastanti, con una vetrina da prima pagina accanto a vicoli e piazzette piene di piccioni e motorini modello Ciao.
E anche gli abitanti si dividono in due netti schieramenti, tra chi la ama alla follia per il mare, il sole e il cibo e tra chi invece scappa, alla prima occasione, in cerca di forme di vita sensibili in altre zone della terra.

Per me, che ci sono nata, Sanremo rimane ancora un enorme enigma: il traffico per entrare e uscire dal centro rasenta quello del Grande Raccordo Anulare, i negozi mantengono inalterato da decenni lo stile di Postalmarket e la proverbiale cortesia ligure raggiunge altissime vette;  la lista dei locali tipici che chiudono alle 6 del pomeriggio e le lunghe attese per un aperitivo di fianco agli scarichi del porto, si sposano con la totale assenza di qualsiasi forma di scontrino fiscale.

A Sanremo c’è sempre gente, in qualsiasi periodo e a qualsiasi ora del giorno, come se fosse l’unico autogrill aperto nella desolazione della Catania – Palermo.
E tutti, appena sbarcano in città, acquisiscono quello speciale spirito ligure che altera il senso estetico e inibisce la capacità di discernimento: con l’arrivo dei primi caldi, la ciabatta infradito fa la sua comparsa nei giardini e nei mercati, mentre a novembre si tirano fuori i piumini col pelo perché è inverno, anche se fuori ci sono 17 gradi; sotto Natale vengono montate sobrie luminarie che prevedono pantere ruggenti nell’atto di scalare una palma e a febbraio tutti, ma proprio tutti, devono uscire di casa per vedere che cosa succede durante il Festival.

Ora, se la situazione traffico e densità della popolazione è già difficile durante l’anno, quando c’è il Festival, Sanremo raggiunge in una settimana lo stesso numero di abitanti di Nuova Delhi.
Non si riesce più a tornare a casa da scuola senza urtare contro un camion della radio, non si riesce più a fare la spesa senza ritrovarsi un autografo di Nek nella borsa, non si riesce più a fare jogging al porto senza scontrarsi con le guardie del corpo di Vasco Rossi che riposa sullo yacht, non si può prendere un caffè al bar perché c’è Fazio che sta usando la sala per preparare le domande da fare a Tom Cruise.
L’altro capo della città è raggiungibile solo in elicottero, le biciclette non sono ancora di moda tra la gente dello spettacolo e l’unico modo per passare è fare finta di essere l’assistente di Umberto Tozzi che ha urgente bisogno di assaggiare un pezzo di torta verde per rinfrancare le corde vocali.

Se tutto questo delirio si limitasse ad una sola ed unica settimana, sarebbe ancora sopportabile. Ma no… l’Istituzione Festival ha voluto lasciare alla città un tangibile segno della sua riconoscenza: la via pedonale che dal teatro Ariston porta al Casinò è stata lastricata di targhe che ricordano la canzone vincitrice per ognuna delle edizioni della manifestazione.
Una specie di versione nostrana delle stelle sul marciapiede di Hollywood, dove al posto di Dustin Hoffman trovi i Jalisse.

E non poteva mancare la statua in bronzo di Mike Bongiorno che, a grandezza naturale, continua ad illudere i sanremesi di non essere mai sbarcati nel XXI secolo.

E anche per quest’anno, Buona VisioneFestival della Canzone Italiana 2019

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