Il prelievo del sangue.

Ad un certo momento della vita capita. Di solito a trent’anni. O in prossimità del tuo matrimonio.

Io di anni ne ho trentuno e mi sposo fra due mesi, quindi potete vedere voi la combo micidiale.

Perché un bel mattino scopri che il rotolino di ciccia che ti pende da un fianco, fiero, impettito e fedele, da una vita intera, comincia a dare segni di cedimenti, per cui devi tirarlo su tramite un sofisticatissimo sistema di ganci. A quel punto ti rassegni, vai da una nutrizionista che, dopo averti misurata, pesata e riempita di strani segni tratteggiati per decidere il taglio della carne, ti prescrive anche un prelievo del sangue per verificare che tu non abbia problemi di salute e per fare una dieta ancora più mirata.

Un prelievo del sangue?

Oddio! E adesso? Che cosa? E se mi trovassero una rarissima malattia che non mi consente di dimagrire? E se invece prelevassero colesterolo al posto del sangue? E se per il prelievo mi scordassi il PIN? Ah, no, aspetta, sbagliato prelievo!

La cosa interessante dei prelievi del sangue fatti per le diete è che ti spingono ad un mea culpa molto profondo.

Prima, tutto sommato, pensi che hai sempre mangiato equilibrato, o quanto meno ti sei sempre tenuta lontana dalle schifezze. Poi, al momento del prelievo, tutto quello che pensi è “oddio! Forse quell’omogeneizzato alla mela che mi ha dato la mamma mi ha alzato il colesterolo! Ecco, lo sapevo, dovevo andare a pane e acqua dall’età di due anni!”

Così, un bel mattino, mi sono svegliata presto e sono andata a farmi questo benedetto prelievo.

Ho deciso di fare la partenza intelligente:

mi sono presentata in ambulatorio alle 7.30 precise, ora di apertura, in modo da poter arrivare a lavoro puntuale. Ed  ho scoperto che il mondo è composto da un sacco di persone intelligenti che avevano avuto la mia stessa idea.

Uno di loro era annidato su una sedia in sala d’attesa, completamente ricoperto di polvere e ragnatele. Sul suo volto segnato dalle rughe si leggeva la rassegnazione. I suoi capelli bianchi quasi rilucevano alla fredda e impietosa luce del neon. Narrava la leggenda che, quand’era entrato, avesse la mia età.

Mi misi in paziente attesa, rassegnata al mio destino in mezzo ad una calca incredibile. Potevo scordarmi di arrivare a lavoro ad un orario decente. Ormai io e la folla eravamo un tutt’uno. E fu esaltante finire letteralmente in mezzo a due signore che parlavano tra di loro e scoprire che quest’anno la figlia della signora Maria avrebbe avuto dieci giorni di vacanza da scuola perché Pasqua e San Marco (conosciuto dai non veneti come Anniversario della Liberazione) sono vicini e questi ragazzi sono troppo viziati perché quando erano giovani loro non si avevano così tanti giorni di vacanza. Il top l’ho raggiunto annuendo con versi di approvazione come se la conversazione riguardasse me, pur essendo perfettamente memore del fatto che quindici anni fa a me era successa la stessa cosa della figlia della signora Maria.

Alla fine, arrivò il mio turno. Arrivò il mio prelievo del sangue.

Mi ricordai che da bambina avevo fatto un prelievo del sangue e avevo guardato tutto quanto dal momento in cui avevano infilzato l’ago nel mio braccio al riempimento totale di un’enorme siringa. Il prelievo successivo, avvenuto molti anni dopo, mi vide cadere a terra priva di conoscenza come una pera.

Questa volta sfidai la mia codardia e decisi che sarei stata a guardare tutto il tempo. Da seduta. Senza neanche un minimo di giramento di testa.

Quando vidi l’ago, vacillai. Evidentemente volevano risucchiarmi anche il cervello!

– “La prego,” dissi alla dottoressa “abbia pietà! Ho una famiglia, dei figli, dei gatti!”-

Mi arpionò la vena che sembrava le avessi picchiato la nonna.

– “E si rilassi, Signora! È solo un aghetto!”- esclamò mentre apriva la confezione.

Certo. Un aghetto. Come no. Secondo me anche il boia di Anna Bolena deve averle detto “Si rilassi, signora, è solo un coltellino!”.

Comunque, sono riuscita a restare cosciente.

Certo, ho visto tutti gli angeli e i santi che mi fissavano in attesa che cadessi a piombo dalla sedia, ma non ho perso i sensi.

Almeno quell’odissea è valsa la pena: analisi perfette!